Numerose sono le tappe del suo pellegrinaggio terreno:
a) La I tappa è Rossano, dove nasce nel 910 da famiglia aristocratica, imparentata con i Basileis (Imperatori) di Bisanzio (probabilmente i Maleinos, “Μαλεῖνος”), nel cuore della Grecìa (il quartiere orientale bizantino più antico), sulla Piazza San Nico (diminutivo di Nicola, il suo nome di battesimo), che è la prima Piazza o Agorà (“Ἀγορά ”) di Rossano, dove ancora si conserva il primo nucleo del suo palazzo (secondo tradizione consolidata); nella sua città natale vive per i primi trent’anni della sua esistenza, fino al 940, e dove si costruisce una solida e vasta cultura (greca, latina, ebraica, araba) nelle Scuole presso la prima Cattedrale della città, dedicata a Santa Maria Theotòkos (“Ἡ Ἁγία Μαρία Θεοτόκος”) o Méter Theù (“Ἡ Μέτηρ Θεοῦ”) di Santa Maria della Pace (“ Ἡ Ἁγία Μαρία ἡ Εἰρένη”); si forma una famiglia, con moglie e una figlia (930); vive gli agi e i privilegi della sua condizione sociale e partecipa al governo di Rossano.
b) La II tappa, che copre circa 13 anni, dal 940 al 952/953, si svolge tra la zona ascetica del Mercurion (“Μερκύριον”) sulle pendici dei monti Pollini, la fuga nel Monastero di S. Nazario nel Salernitano, dove soggiorna per poco tempo, e il ritorno sul Mercurion: nel 940, a trent’anni, sente la forte chiamata del suo Dio, che lo chiama alla “fuga mundi” e alla scelta esclusiva e radicale di dedicarsi a Lui, perciò rinuncia a tutto (ricchezza, potere, privilegi, famiglia, città natale) e si fa monaco eremita o anacoreta presso l’Oratorio di S. Michele Arcangelo del Mercurion (presso l’odierna Orsomarso), dove alterna il più rigoroso ascetismo, lo studio e la trascrizione delle opere della sapienza cristiana e pagana antica in centinaia di codici di eccellente fattura e in elegante scrittura niliana, alcuni dei quali ci sono pervenuti (e sono nella Biblioteca del Monastero di Grottaferrata).
c) La III tappa, che si svolge, in circa trent’anni dal 952/953 al 982, è vissuta da S. Nilo presso il Monastero di S. Adriano (“Τὸ Μοναστήριον τοῦ Ἁγίου Ἁδριάνου”) nell’ attuale cittadina di S. Demetrio Corone, da lui fondato (è il primo degli otto), e anche sulla Montagna Santa o Oros Aghion (“Τὸ Ὄρος Ἄγιον”) o zona ascetica di Rossano, alternando il suo soggiorno e la sua attività religiosa e pratica tra le due aree del territorio della Calabria del Nord-Est. Qui egli riforma il Monachesimo calabro-bizantino-greco cosiddetto “basiliano” in senso eremitico-cenobitico e in senso contemplativo-operativo. Fonda, nella sua città, quattro Monasteri: “S. Maria Anastasìa” (“Τὸ Μοναστήριον τῆς Ἁγίας Μαρίας Ἀναστασίας ”), oggi Oratorio di S. Marco e palazzo attiguo privato, dentro la città, e “S. Giovanni Battista” (“Τὸ Μοναστήριον τοῦ Ἁγίου Ἰωάννης Βαβτίστας”) o “Santu Janni” sopra la contrada di Forello, di “Gesù Cristo il Salvatore” (“Τὸ Μοναστήριον τοῦ Ἰησοῦ Χριστοῦ Σωτῆρος”) sopra la contrada di S. Maria delle Grazie, dell’ Arinario” (“Τὸ Μοναστήριον τοῦ Ἁρινάριυ”) o di “S. Opoli” nella contrada di Ceradonna, tutti nella zona montana di Rossano. Intrattiene rapporti con i potenti del suo tempo: il parakimòmenos Giuseppe Bringas (il principale consigliere del Basileus di Bisanzio); gli Strateghi o Governatori politico-militari della Thema o Provincia bizantina di Calabria-Basilicata-Puglia residenti a Rossano, Basilio, il Giudice imperiale Eufràsio, il Magìstros dell’Italia bizantina Niceforo Foca Hexakionites; persino con l’Emiro saraceno e musulmano di Palermo Abùl el Kasém, con i Metropoliti della Calabria. Rifiuta per umiltà il Vescovato di Rossano (976), soccorre i poveri e gli indifesi, condivide le sofferenze dei suoi concittadini durante un grave terremoto (970), salva dalle spietate ritorsioni di Niceforo Foca Hexakionites (976) la sua città e la sua gente, reses protagoniste della distruzione della flotta bizantina nel porto-arsenale di Rossano, noto con il nome di Ruskìa o Ruskiané (“Ρουσκία”, “Ρουσκιανή”).
d) La IV tappa si svolge, prima, presso il Principato di Capua, e poi presso Montecassino (dal 982 al 994): quando Rossano passa sotto il dominio del Sacro Romano Impero Italo-Tedesco (981-982) e ospita l’Imperatore Ottone II di Sassonia, con la sua Corte (e la moglie Theofania, il figlio e futuro Imperatore Ottone III, il loro primo Consigliere Giovanni Filàgato, Rossanese e futuro Papa Giovanni XVI) e il suo esercito (poi sconfitto dai Saraceni a Stilo), S. Nilo lascia, poco dopo, la sua terra ed emigra nella regione latina della Campania, prima a Capua e, poi, nel territorio del Monastero benedettino di Montecassino, presso il quale fonda il il suo sesto Monastero, S. Michele Arcangelo di Vallelucio (ora S. Elia Fiumerapido), con oltre 60 monaci, tra i quali il concittadino Bartolomeo, suo discepolo prediletto, autore del “ Bìos” (“ Βίος καὶ πολιτεία τοῦ ὁσίου πατρὸς ἡμῶν Νείλου τοῦ Νέου ”) o “Vita di S. Nilo”, con-fondatore della Badia di Grottaferrata.
e) La V tappa si svolge tra il Ducato di Gaeta, dove fonda il settimo Monastero, quello di Sèrperi o Seràpide o Sàrapo, e Roma (dal 994 al 1004), dove trascorre gli ultimi dieci anni della sua vita: da Gaeta si sposta a Roma (998) per incontrare Ottone III di Sassonia, Imperatore del Sacro Romano Impero (lo re-incontrerà a Sèrperi nell’anno 1000), il Papa Gregorio V, il Papa suo concittadino (e forse suo ex discepolo) Giovanni XVI Filàgato (l’ultimo Pontefice meridionale della Chiesa: 996-997).
f) La VI e ultima tappa si svolge, negli ultimi mesi della sua esistenza, presso Grottaferrata (dalla primavera al 26 settembre 1004): dopo un soggiorno presso il Monastero greco di S. Anastasio alle tre Fontane a Roma, ottiene dal Principe Gregorio di Tusculum il rudere della Cryptaferrata (dove verosimilmente sorgeva il Tusculanum di Cicerone) e il territorio circostante, presso i quali avvia la costruzione della Chiesa e del suo ottavo Monastero, dedicati a S. Maria di Grottaferrata, che saranno ultimati da S. Bartolomeo nel 1024: muore al tramonto del 26 settembre 1004 (“… con il sole tramontò il sole”, scrive il suo biografo Bartolomeo), proferendo queste ultime parole: “seppellitemi nella nuda terra, perché i migranti possano riposarvi, in quanto anch’io fui migrante (xénos, “ξένος”) per tutti i giorni della mia vita”.
Nilo, a differenza dei tanti anonimi della storia, ha vissuto una vita intensa, ha lasciato segni incancellabili di cambiamento a servizio degli uomini-persone e, perciò, resta sempre vivo nella memoria individuale e collettiva, con una meta-storicità e un’attualità sconcertanti. Infatti, egli è stato riconosciuto, fin dal 1618, Com-Patrono di Rossano (insieme a Maria Theotòkos Achiropìta), poi, nel 1958, anche Com-Patrono della Calabria (insieme a S. Bartolomeo di Rossano e S. Francesco di Paola), e la sua festa cittadina viene stabilita il 26 settembre (con Delibera Giunta Municipale n. 883 del 4-9-1989, promossa dallo scrivente). Inoltre, è Patrono di Grottaferrata, Patrono di Gaeta, e, dal 25-9-2012, “Cittadino gaetano benemerito” (“civis cajetanus”), al quale è dedicata, il 16-9-2010, l’omonima chiesa parrocchiale, che, il 16-9-2014, viene elevata a Santuario di S. Nilo (il primo in assoluto). Nel 1986 dà il suo nome al prestigioso Liceo Classico di Rossano.
Nilo è l’uomo della testimonianza della scelta radicale, perché vivere non è lasciarsi vivere, lasciarsi trascinare dalla corrente conformistica delle mode e delle tendenze della propria epoca, ma imboccare la propria strada esistenziale, con la consapevolezza, la libertà e la responsabilità che la vita è missione e servizio. Egli sceglie Dio, convinto che la fede è dialogo con l’Assoluto, amore personale e diretto, che richiede, da cristiano coerente, l’esclusività di quel rapporto e la rinuncia ai valori e dis-valori del mondo (status sociale, ricchezza, potere, famiglia). Ma la sua non è una fede devozionale, intimista, rituale e, perciò, egocentrica, egoista, estranea alla storia e all’umanità, bensì è la fede-agàpe (“αγαπη”), comunitaria, associata, solidale, condivisa, donata, è la fede-carità del farsi prossimo: non si ama né si serve il proprio Dio se non si ama e non si serve l’umanità di cui si è parte integrante. Egli ama e serve l’umanità dolente, quella che vive nel bisogno e nella marginalità, quella che subisce i soprusi dei potenti e dei prepotenti, quella della sua Rossano e del suo territorio per 40 anni, e quella della Campania e del Lazio per gli altri 22 anni.
Nilo è l’uomo della testimonianza della Riforma religiosa del Monachesimo, conciliando l’Anacoretismo del rapporto eremitico-personale-solitario uomo-Dio con il Cenobitismo del rapporto comunitario-solidale-condiviso uomo associato-Assoluto, la vita contemplativa o “bios theoreticòs” (“ὁ βίος ϑεορετικός”) con la vita operativa o “bios praticòs” (“ὁ βίος πρακτικός ”), il pensare o “léghein” (“λέγειν”) con il fare o “pràttein” (“πράττειν”) e, soprattutto, la fede con la vita.
Nilo è il fondatore di numerosi Monasteri, sopra ricordati. Questi Cenobi niliani, insieme ad altri del Sud Italia, sono protagonisti e artefici di cambiamento e rinnovamento in quei “secoli di ferro” drammatici. Infatti, sono i luoghi di intensa religiosità ascetica individuale e associata, di “metànoia” (“ἡ μετάνοια”) ossia di rinnovamento e perfezionamento spirituale fino alla santità; sono “Scriptoria”, ossia le case editrici ante litteram, dove oscuri colti monaci amanuensi, trascrivendo gli antichi testi, salvano dalla distruzione e dall’oblio l’eredità delle Civiltà e delle culture laiche greche e mediterranee; sono gli archivi delle memorie storiche precedenti attraverso la costituzione di grandi Biblioteche, fondamenti dell’Umanesimo-Rinascimento e delle future Civiltà moderne; sono i centri economici e sociali in sostituzione delle città (in un mondo de-urbanizzato e ruralizzato), dove le popolazioni disorientate e terrorizzate trovano le condizioni e le opportunità di ospitalità, di lavoro, di vita; sono i soggetti sociali – gli unici in quel tempo – di difesa e protezione dei diritti elementari dei poveri e dei subalterni; sono le riserve di energie spirituali e morali alle quali la Chiesa attingerà nei secoli successivi e sulle quali costruirà il suo prestigio e la sua autorevolezza.
Nilo è l’uomo della testimonianza dell’importanza della Cultura, segnatamente nei periodi burrascosi e quando le coscienze individuali e collettive sono disorientate e sbandate, perché la cultura è valore, risorsa, finalità: è valore perché in essa si esprimono i principi dell’Umanesimo (teista, laico, ateista), ossia la creatività, l’intelligenza, i sentimenti, l’autonomia critica, la vision della realtà e del futuro, il senso e il progetto di vita dell’uomo singolo e associato, in questi valori riconosciuti e condivisi si ritrovano comunità e popolo, perché essi ed essi soltanto fanno autentica coesione sociale e danno unità di identità, di appartenenza, di fierezza; è risorsa perché è in grado di produrre la risorsa economica immateriale più grande in assoluto, quella universalmente valida, quella che non è mai soggetta alle variabili del mercato, è il capitale umano, il capitale intellettivo, il capitale delle capacità e delle professionalità; è finalità di ogni ambizioso progetto di sviluppo endogeno, auto-propulsivo e sostenibile per l’oggi e per il domani, che punti su una società a misura d’uomo, più giusta, più eguale, più fraterna, più solidale, più pacifica, più rispettosa della vita e dell’ambiente.
Nilo è l’uomo della testimonianza della “Mediterraneità”, ossia della Civiltà e della cultura mediterranee greco-bizantino-cristiane, che, arricchitesi e perfezionatesi nel Mezzogiorno d’Italia, in Calabria e segnatamente a Rossano, rappresentano il contributo originale, qualificante e il fondamento della Civiltà europea e contemporanea, sintesi di culture e sensibilità diverse.
Nilo è l’uomo della testimonianza dell’Unità e dell’Ecumenismo, impegnato costantemente, da Cristiano bizantino-greco, nel dialogo, mediante il rispetto e l’apertura, e tra eguali, con i credenti e le persone dei tre Monoteismi del Mediterraneo: i Cristiani (latino-cattolici e greco-ortodossi), i Musulmani-islamici, gli Ebrei-giudei. Il suo messaggio di appello all’unità e alla solidarietà tra diversi, ma aventi in comune principi e valori condivisi, oggi, in cui ritornano a spirare venti inquietanti di divisione, di intolleranza, di razzismo, di odio, è di un’attualità cogente, che ci richiama alla responsabilità di trovare le ragioni dello stare insieme.
Nilo è l’uomo della testimonianza della profezia dell’Unità dei Cristiani, resa visibile con l’apposita fondazione del Monastero di “S. Maria di Grottaferrata” (con-fondato con il suo discepolo prediletto e concittadino S. Bartolomeo), quale luogo e laboratorio di idee, d’incontro, di dialogo, di sintesi tra le due anime del Cristianesimo, quella orientale-greco-bizantina e quella occidentale-latino-cattolica, in rottura o in autonomia fino ad oggi in seguito allo scisma del 1054. A Grottaferrata si potrebbero aggiungere Rossano e Gaeta quali luoghi dell’Ecumenismo, artefici attivi nel promuovere iniziative qualificanti per individuare principi, valori e strategie al fine di avvicinare, ancora di più e meglio, le posizioni del Cattolicesimo e quelle dell’Ortodossia, in vista dell’auspicabile ricostituzione dell’unità fra i Cristianesimi.
Nilo è l’uomo della testimonianza-simbolo del migrante calabrese o meridionale, che, per costrizione del bisogno o per pulsione o per libera scelta di éxodos (“ὁ ἔξοδος ”), va altrove, va oltre, oltre ogni confine, alla ricerca di nuove opportunità e condizioni di vita, accettando – con coraggio – la sfida della novità e fiero di portare nel bagaglio la sua identità operativa, la sua Calabresità, la sua Meridionalità, la sua Mediterraneità. S. Nilo è, dunque, la personificazione del Calabrese/Meridionale migrante e/o pellegrino della Verità: un simbolo, una metafora che ha saputo cogliere il più grande scultore del ‘900, Pericle Fazzini, in un pregevole bozzetto, che l’Amministrazione comunale ha voluto realizzare, con i fondi dell’Area Urbana Rossano-Corigliano (nel 2010-11, quando lo scrivente era Sindaco della città), nella fontana di Piazza Steri a Rossano, nella quale Nilo l’emigrante, pellegrino della Verità, s’incammina da Rossano per Grottaferrata, portando con sé e nel mondo la Civiltà bizantino-greco-mediterranea e quella dell’olio (rappresentate rispettivamente dall’Oratorio del S. Marco e dall’ulivo secolare “dolce di Rossano”).
Nilo è l’uomo della testimonianza di un “exemplum”, di un modello di riferimento, valido mille anni fa e ancora attuale: è il modello del coraggio della scelta del “pensiero forte” solidale e tollerante, dei principi e dei valori forti; è il modello della fedeltà a quella scelta del pensiero forte, dei principi e valori forti; è altresì il modello della coerenza comportamentale tra ciò che si pensa, ciò che si dice, ciò che si fa.
Un “exemplum” universale ed eterno che caratterizza tante persone e tanti cittadini onesti e operosi rimasti nella loro terra, non sempre apprezzati e difesi, non sempre gratificati nella propria città e nella propria terra (“nemo profeta in patria”), ma paghi di aver fatto la propria parte e il proprio dovere, di avere lasciato tracce di sé e di avere contribuito a costruire un mondo migliore per quelli che verranno. Di queste persone-cittadini esemplari – oggi, qui ed ora – la società e i giovani hanno bisogno, per non perdere, anzi per ritrovare e consolidare la fiducia e la speranza nel futuro.
Auspico che i miei Concittadini della nuova unica città di Rossano-Corigliano (chiamati, da un anno, a vivere e operare insieme nel futuro), dell’Arcidiocesi di Rossano-Cariati e della Calabria del Nord-Est facciano memoria del “più illustre figlio” di questa terra, memoria operativa, in questo momento storico molto difficile, in cui questo Comprensorio è oggetto continuo di ingiustificabili e ciniche spoliazioni e rapine (sanità, ospedali, tribunale, treni, uffici pubblici; e, in cambio, hanno lasciato disoccupazione, fuga dei giovani e dei cervelli, rifiuti, la famigerata SS. 106, le pericolosissime trivellazioni, la ‘ndrangheta), non è rappresentato a nessun livello, è sfiduciato e rassegnato, e perciò ha bisogno – un bisogno vitale e urgente – di recuperare la propria unità-identità di appartenenza e di territorio, la fierezza propria dei Calabresi, la capacità di resistenza e di reattività, il coraggio di accettare la sfida delle novità per una nuova riaggreggazione del territorio, perché non muoia la speranza e si alimenti la fede-convinzione-certezza che ce la possiamo fare… se ci crediamo e ci adoperiamo.
26 settembre 2020.
Francesco Filareto