Corigliano Rossano – Quel 26 settembre 1906 ci fu una “fredda festa” per i festeggiamenti per San Nilo a causa della “ingordigia del Canonico don Gaetano Nicastro che voleva dare alla banda cittadina 20 lire per l’accompagnamento della processione”. Per fortuna “si riparò con una sottoscrizione fra il popolo presente”. Questa fu la notizia pubblicata dalla Nuova Rossano del 30 settembre 1906 in quanto, evidentemente, la presenza della musica durante i festeggiamenti era ritenuta fondamentale. A don Gaetano però la ricostruzione dei fatti, così come raccontati dal giornale cittadino, “stava stretta” e così inviò una lettera al direttore con le sue ragioni, lettera che venne pubblicata sul numero del 15 ottobre.
“Avendo il sottoscritto letto nella Cronaca del suo Giornale del 30 settembre p.p. N. 18 un articoletto riguardante la festa di S. Nilo Abate, celebrata nel 26 settembre ultimo, con suo dispiacere è costretto confutarlo, essendo non solo infondato, ma falso ancora. Difatti. Su esso sia detto: La festa di S. Nilo Abate fu fredda in quest’anno. Falso. Di ciò che si fece negli anni precedenti cosa manca in quest’anno? Niente affatto. Non mancò l’illuminazione a luce elettrica con due splendidi globi per due sere 25, e 26 giorno della festa, non mancò un gran concorso di popolo che accompagnò la Statua di San Nilo nella processione, non mancarono lungo la via, per dove passò il Santo spesse e lunghissime batteria, specie quella che si fece quando giunse innanzi alla sua Chiesa, ove dovette star fermo per più di un quarto di ora, non mancò a spese del Parroco, una lunghissima batteria la sera del 26 quando si fece la benedizione col Santissimo, non mancò nell’istessa sera, 26, un bellissimo fuoco artificiale, come pure non mancò la Signora Banda cittadina che suonò fino ad ora tarda, pagata dai fedeli, come negli altri anni. Cosa dunque vi mancò? Nulla”. E poi continuò precisando che la banda gli aveva chiesto 30 lire invece delle solite venti e lui non era disposto ad accettare questa imposizione. A commento della lettera di don Gaetano Nicastro, il giornale pubblicò virgolettate delle altre dichiarazioni del parroco e una in particolare accese ancora di più la polemica. Infatti il giornale raccontò che don Gaetano “per placare l’ira del popolo, indignato per la cattiva riuscita della festa, diceva: Signori quest’anno mi compatite se la festa non si fa con quella pompa che è solito, poiché noi parroci siamo ormai messi alle strette, dico finanziariamente, ed ora vi spiego: Siccome tutti i parroci abbiamo sostenuto una causa contro l’arcipretura; per decisione presa dall’Arcivescovo, dobbiamo ognuno di noi versare L. 30 all’Arciprete Ciconti che si becca quattromila lire all’anno di rendita, per sovvenire alle spese di due economi …”.
Avendo chiamato in causa l’arciprete Ciconti, questi si sentì in obbligo di intervenire pubblicamente nella polemica. Così sul numero dell’11 novembre del giornale apparve la sua presa di posizione, netta.
“….. È falso che il Rev.do Parroco Nicastro m’abbia dato, o che debba darmi lire trenta annue. È falso che questi trenta denari servono a me per pagare due assistenti nel ministero che mi spetta. Io ho da me chi mi assiste nell’esercizio dei miei doveri. È verissimo egli e gli altri Rev.di canonici vollero intraprendere, e sostenere una causa d’indole canonico contro di me, nella quale messa da parte la tesi da dimostrare, aggredirono, con la stampa, la mia persona; causa, nella quale mi rincrebbe di non aver potuto ammirare, come avrei voluto, la loro sapienza e piegare innanzi a loro i miei fasci. Il nostro dottissimo ed amatissimo Arcivescovo M. Mazzella, che fu il primo giudice, tenendo in conto il mio ragionamento per la dolcezza della sua indole e per una paterna condiscendenza verso i Signori Parroci, che non seppero neppure valutarla, pose tutto il suo amore, e tutta la sagacia del Suo sottilissimo ingegno a contentarli in parte, quando emanò la Sua sentenza. Però i Parroci sdegnosi appellarono alla Sacra Congregazione dei Vescovi e regolari, composta di Cardinali dottissimi, e la Congregazione, che è come la civile Cassazione suprema, respinse intieramente l’appello, ritirò la benevola concessione, fatta ai Parroci dal benigno Arcivescovo, e, dandomi pienissima ragione, li condannò alle spese del giudizio. Chi ignora nel mondo, che data una sentenza così solenne e decisiva, la parte soccombente deve sottomettersi all’incomodo delle conseguenze di un capriccio sfolgorato e condannato? …”
Lo stesso numero della Nuova Rossano riportò anche la precisazione del Capo Banda Giuseppe Cionti che era in netto contrasto con le dichiarazioni di Nicastro.
Insomma, nel 1906 i rossanesi assistettero a una lavata dei panni in pubblico da parte dei preti cittadini. A parte i soldi, non è dato sapere quale fosse la materia del contendere tra l’arciprete Ciconte e i parroci, si intuisce però che il vescovo Mazzella tentò invano una mediazione ma che questa non accontentò i parroci che ricorsero alla “Cassazione Ecclesiastica” che diede loro torto. E tutto questo, con mancanza del minimo senso di opportunità e discrezione, venne messo in piazza, per meglio dire sui giornali, in modo che i fedeli potessero farsi tante domande sullo stato dei rapporti tra gli ecclesiastici rossanesi.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.