Il tema della violenza sulle donne si conferma di estrema attualità ai vari livelli. Si pone un problema di legislazione, non ancora ritenuta esaustiva, di coordinamento delle attività e, soprattutto, di formazione. Ed è per queste ragioni che l’Associazione Mondiversi, presieduta da Antonio Gioiello, continua nelle attività di sensibilizzazione e di informazione. Un apposito seminario si è tenuto il 10 maggio scorso, in continuità con il passato ma oggi si è tornati in presenza, su “Femminicidio e violenza sulle donne: diffusione del fenomeno e sistema integrato di protezione”. L’evento è stato accreditato dall’Ordine degli Assistenti Sociali della Calabria, e sono stati attribuiti n. 7 crediti di cui 2 deontologici. Sono intervenuti: Antonio Gioiello, psicologo-psicoterapista, nonché Presidente dell’Associazione Mondiversi che ha relazionato sui “dati di ricerca e valutazione del fenomeno”; Letizia Benigno, Gip del Tribunale di Cosenza, che è intervenuta su “La legge 69/2019 e l’applicazione del codice rosso in Calabria; Barbara Lavorato, Assistente Sociale, Responsabile Casa Rifugio Mondiversi; e i giornalisti Alessandro e Massimiliano Trotta. Il Presidente Gioiello, nel ricordare il caso di Roberta Lanzino su cui non venne mai fatta luce e la recente morte del padre che si è tanto battuto per la verità, ha sottolineato la gravità del fenomeno: «Quasi quotidianamente assistiamo a omicidi nei confronti delle donne. Riteniamo che ci sia la necessità di accentuare i livelli di formazione ai vari livelli, tali da dare vita a una rete di protezione più efficace su scala nazionale. In ambito locale si registrano, invece, gravi ritardi sia sul piano legislativo che sul versante degli interventi. Purtroppo non riusciamo ad arrivare a un punto fermo». In alcuni casi omicidiari, rincara Gioiello, si sarebbe potuto «intervenire preventivamente e salvare tante vite umane, ma non siamo ancora pronti».
Il giudice Benigno ha messo in evidenza come la legge sul femminicidio abbia avuto origine dopo la ferma condanna della Corte di Strasburgo all’Italia che aveva come sfondo la lentezza dell’attività investigativa. «Questa legge ha dato un nuovo impulso sia alla fase preliminare delle indagini sia a quella processuale. Si sono registrati dei miglioramenti in chiave di esigenze di speditezza e specializzazione di tutti gli operatori, oltre al miglioramento delle attività di coordinamento. Questa è una materia in cui non si vince da soli, ha poi precisato il magistrato, è necessaria una collaborazione tra autorità giudiziaria, terzo settore e società civile». La togata ha poi osservato come sia importante la formazione, su questi temi «non ci si improvvisa», sottolinea. «È importante creare una sorta di empatia nei confronti delle vittime, perché il senso di isolamento può produrre non solo ripercussioni negative, ma è anche alla base di ripensamenti che riconducono ad affrettate riconciliazioni spesso foriere di gravi conseguenze». La responsabile della “Casa Rifugio” Lavorato, ha illustrato l’importanza dei centri di accoglienza destinate alle donne vittime di violenza. «Il centro rappresenta un punto di riferimento per le donne, sia straniere sia italiane. Massima è la tutela della persona, gli ospiti sono garantiti nella riservatezza e nell’anonimato. Il centro è destinato maggiormente a vittime esterne al territorio per ovvie ragioni di sicurezza. Lo staff dà attuazione a piani personalizzati della durata di sei mesi, il tempo utile di reinserirsi nel contesto sociale e pervenire al risultato dell’autonomia e dell’indipendenza. Solitamente si tende a tornare alle terre di origine, eccezion fatta per le donne straniere che tendenzialmente restano sul territorio italiano a volte per scelta tal altra per necessità». A conclusione dei lavori sono stati consegnati degli attestati di presenza e di riconoscimento.