La crisi agrumicola si tocca con mano. Ad aggravare la stagione in corso la politica dei rincari e le speculazioni in atto. Ma c’è un dramma nel dramma che colpisce i piccoli e medi produttori agricoli ai quali è praticamente impedito proporre un prezzo di vendita del prodotto, che dovrebbe tenere conto dei costi sostenuti e di un minimo di margine di guadagno. E invece o si accettano le condizioni dei compratori o si rimane fuori dal mercato.
C’è molta paura tra i produttori di denunciare un fenomeno che subiscono da anni. E il timore è legato al rischio di essere tagliati fuori dal mercato. Una sorta di ricatto subdolo, non manifesto, ma con cui si è costretti a convivere. La senatrice uscente del gruppo Cal-Alternativa Rosa Silvana Abate (coordinatore nazionale del Copoi- produttori ortofrutticoli) conferma l’esistenza del fenomeno presente tanto nel settore agrumicolo quanto nella filiera ortofrutticola. «Si entra nelle aziende e si paga il prodotto al di sotto dei costi di produzione», per poi vederlo piazzato nei supermercati con rincari enormi. Esiste un organismo chiamato a controllare le “pratiche commerciali sleali” presso il ministero dell’agricoltura a cui i produttori per il tramite delle associazioni di categoria possono rivolgersi per controlli e sanzioni». Il punto è che, spesso, tra le associazioni di categoria, ci sono anche i “commercianti” che non hanno alcun interesse a riequilibrare i rapporti di forza nelle trattative. «Nei casi in cui l’organismo di controllo recepisce le pratiche commerciali sleali si registra un eccesso di delega, denuncia la Abate. In Italia sono state concesse delle deroghe alle Op (organizzazione dei produttori) e alle cooperative le quali possono non rispettare ciò che è il “costo di produzione” a cui i produttori agricoli sono sottoposti». La Abate ricorda come per affrontare la delicata questione avesse presentato un disegno di legge al Senato nella precedente legislatura, in maniera solitaria, giunto in commissione» ma senza pervenire al risultato. «Si toccano gli interessi della grande distribuzione, denuncia l’ex parlamentare, perché quando si va a riconoscere il costo di produzione al primo anello della filiera diminuiscono le possibilità di speculazione nel prosieguo della catena. Si allargano le maglie a tutela delle lobby che operano in agricoltura e non a tutela di chi si spacca la schiena, produce e si assume il rischio imprenditoriale anche in questo difficile e insostenibile momento di crisi».
Il problema in sostanza si risolve con «una legge dello Stato che riconosca ai produttori di agrumi, e a tutti i produttori ortofrutticoli, ciò che spendono per produrre i propri prodotti più i contributi Inps e Inail, garantendo anche un reddito aggiunto per la sopravvivenza della propria azienda e della propria famiglia». «Nessuna associazione rappresentativa, nessun consorzio e nessun partito politico (indistintamente) ha sostenuto in Commissione e al Governo questo mio disegno di legge», denuncia l’ex parlamentare. «La mia battaglia è stata condotta in piena solitudine in commissione Agricoltura al Senato ma nonostante tutto ero riuscita a portarne l’iter ad un buon punto della procedura prevista, vale a dire alla votazione degli emendamenti in commissione che pur i colleghi avevano presentato (alcuni di essi abrogativi). Mi fu fatta richiesta dal Ministero dell’Agricoltura di ritirarlo perché inglobato dalle pratiche commerciali sleali. Naturalmente rifiutai con fermezza e invitai il Governo a venir a leggere il parere in merito in Commissione. Così fu». Sul punto la Abate ebbe modo di coinvolgere anche il Presidente della Repubblica Mattarella, sottolineando «il grave eccesso di delega nell’atto di governo che ha recepito la direttiva introducendo una deroga delle pratiche commerciali sleali (direttiva UE 633/2019 che avrebbe dovuto tutelare anche in Italia il costo il produttore nel comparto agricolo) per le cooperative e le op, anche contro il parere della commissione Agricoltura Senato che aveva dato parere negativo alla deroga stessa. Chiesi al presidente della Commissione di procedere comunque alla discussione degli emendamenti presentati dai colleghi e alla relativa votazione del disegno di legge a mia prima firma sul costo di produzione».
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