Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana. Nel 2022, in Italia, avviene un femminicidio ogni 3 giorni.
Sono 104 le donne uccise nel nostro paese nei primi 11 mesi del 2022 – a dispetto delle cento dell’anno scorso – secondo i dati delle forze di polizia contenuti nel report “Il pregiudizio e la violenza contro le donne” elaborato dalla Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, e manca ancora più di un mese alla fine dell’anno.
Secondo i dati ISTAT, in riferimento al numero di pubblica utilità 1522, Rispetto al secondo e al terzo trimestre 2021, nei corrispondenti trimestri del 2022 si registra un calo delle chiamate valide (da 8.508 si passa a 7.562, -11% per il secondo trimestre; da 8.217 a 7.177, -12,6% per il terzo trimestre); calo che si registra della stessa intensità per i contatti via telefonica che passano da 7.210 a 6.243 (-13,1%) nel secondo trimestre e da 6.815 a 5.811 (-14,7%) nel terzo trimestre. In diminuzione anche le chiamate da parte delle vittime (da 4.243 a 2.716; -35% per il secondo trimestre; da 3.752 a 2717; -27,6% per il terzo trimestre). La diminuzione sensibile delle chiamate da parte delle vittime è iniziata in modo consistente già nei trimestri precedenti del 2021.
Quindi, le scarpette rosse in piazza non bastano, le mimose a marzo non servono, e, ancora peggio, le denunce risultano vane. Solo le donne sanno quanto sia difficile ammettere di essere in pericolo, ammettere che il pericolo sia proprio il compagno, denunciarlo ed essere credute. L’esito della denuncia è troppo spesso un solletico al suo carnefice. Le donne non credono più nel potere della parola, nell’aiuto. Ma il servizio 1522 continua a svolgere un’importante funzione di snodo a livello territoriale tra i servizi a supporto di coloro che vi si rivolgono: in aumento la percentuale delle vittime che nel secondo trimestre 2022 è stata indirizzata verso un servizio territoriale (76,1%), in lieve flessione il valore relativo al terzo trimestre (73,2%). Delle vittime inviate ad un servizio territoriale, per entrambi i trimestri, circa il 93,5% (rispettivamente pari a 1.940 e 1.858 vittime) è stata inviata ad un Centro antiviolenza.
Il 58.8% delle donne uccise è vittima di un partner o ex partner. Occorre dunque, ribadirlo: l’amore non miete vittime. Bisogna che le persone tutte, lo capiscano. Il problema è anche culturale, non serve spostarci in Oriente per vedere quanto il genere femminile sia oggetto di discriminazione in tutti gli ambiti sociali. Il femminicidio sembra quasi una naturale conseguenza di un sistema di oppressione, che consta di dinamiche più o meno gravi, figlie di uno stesso peccato: la considerazione della donna come oggetto, e dell’uomo, come possessore.
Molte volte si sottovalutano segnali, manifestazioni all’apparenza meno gravi. La gelosia morbosa che spacciamo per interesse o peggio, per amore, la violenza psicologica, un dolore senza ematoma. Il femminicidio è la punta di un iceberg, il punto di arrivo di una serie di violenze poco visibili ma ugualmente macchiate: umiliazioni, controllo, svalorizzazione, annullamento, insulti, stupro, violenza fisica e verbale. La donna arriva a non essere più in possesso della propria vita, e se non è più del carnefice, questo si assicura che non diventi di nessun altro.
Sempre secondo i dati ISTAT, Le vittime che hanno contattato il 1522 e hanno segnalato di avere subito più tipologie di violenze sono il 67,4% dei casi nel secondo trimestre e il 65,3% nel terzo trimestre. I dati relativi al secondo e terzo trimestre 2022 continuano a confermare quanto analizzato finora, ovvero che quando le vittime contattano il 1522 più di frequente segnalano la violenza fisica come la violenza principale che subiscono, ma considerando tutte le forme di violenza subite, quella psicologica è la più frequente.
Quando queste avvisaglie ci sono, la nostra responsabilità è non ignorarle. Nondimeno, la responsabilità, è di tutti. È dei Media per la pubblicità e il linguaggio sessista, è dello Stato a cui arrivano le denunce che non sono seguite da provvedimenti adatti, è della Scuola che non impartisce la giusta educazione sentimentale e sessuale, è della famiglia che non insegna l’uguaglianza e il rispetto incondizionato. Persino le donne ripetono: ’’Se l’è cercata’’, come se per difesa o autoelevazione si vogliano distaccare da una realtà tangibile (come la sessualità, intrinseca nell’uomo quanto nella donna, o i maltrattamenti in generale), attraverso la demolizione di un’altra donna, cercando appigli in retrogradi pregiudizi, che non fanno altro che innalzare una bella statua al maschilismo, quanto più se ne distanzino.
Non è colpa di chi dà fiducia il fatto che venga tradita, e nemmeno se immeritata dà il diritto di comportarsi in modo riprovevole; da questo dovrebbe proteggerci lo Stato, dal revenge porn (con sesso demonizzato anziché insegnare il rispetto ambosessi), allo stalking, alle violenze fisiche. Bisogna smettere di utilizzare l’espressione: ’’Troppo amore’’ o semplicemente ‘’amore’’, associata ad una qualsiasi violenza sopracitata o perfino, a proposito dei femminicidi. Lo ripeto ancora: l’amore non miete vittime. L’amore non fa male, né dentro né fuori. L’amore protegge, conforta, ed ha come fine la felicità altrui, la sua crescita e il suo successo. In caso contrario, non è amore, anzi, spesso, è patologia; e le donne non sono martiri, né tantomeno sono medici, psicologi e psichiatri dei compagni. Non possiamo e non dobbiamo sostituirci a queste figure, di conseguenza, il nostro compito e la nostra salvezza è non giustificare l’ingiustificabile, ma, rivolgerci a chi di dovere.
Trovo le parole di Pavese, profetizzanti e tragiche: ‘’Ogni donna c’infonde nel sangue
qualcosa di nuovo,/ ma s’annullano tutte nell’opera e noi, / rinnovati così, siamo i soli a durare. /Siamo
pieni di vizi, di ticchi e di orrori/ – noi, gli uomini, i padri – qualcuno si è ucciso,/ ma una sola vergogna non
ci ha mai toccato,/ non saremo mai donne, mai schiavi a nessuno”.
Questa condizione di donna-schiava, che si perpetua a dispetto della donna-costola dell’uomo solo quando ci sono le Giornate Mondiali e possibilità di lucrare, non ci fa sentire al sicuro, ci fa sentire in un mondo di ipocriti. Questi simboli sono importanti in quanto immediati, ma c’è bisogno di azioni concrete, di tutela effettiva delle categorie a rischio, e delle donne che denunciano i propri aggressori/persecutori. Nella normalissima consapevolezza che la vita di una donna non conti più della vita di un’altra persona di qualsiasi genere e non, usiamo ‘’femminicidio’’, solo per una questione di incidenza più elevata, sintomo di una società e di un sistema patriarcale o comunque malato, di cui non dobbiamo più essere complici. Il rapporto Eures traccia l’identikit degli autori di femminicidi: in oltre nove casi su dieci sono uomini.
Tra le tante organizzazioni no-profit degne di nota vorrei ricordare ”DONNEXSTRADA”, che accompagna in videochiamata le donne che rincasano da sole. Certo, l’obiettivo un domani sarà quello di tornare a casa senza doversi girare continuamente indietro, ma per il momento, urge fare rete ed educare. A livello europeo – come ricorda la stessa organizzazione – lo strumento più importante è la Convenzione di Istanbul, che prevede norme giuridiche vincolanti per la prevenzione della violenza, la protezione delle vittime e la persecuzione dei perpetratori. Non ci sono definizioni o regole condivise che consentano un’azione europea comune ed efficace, però, in Italia il 5 maggio Camera e Senato hanno votato una legge sulle statistiche in tema di violenza di genere. L’Istat collaborerà con i ministeri delle Pari opportunità, della Giustizia, dell’Interno e della Salute e con i centri antiviolenza e le case rifugio, per generare un flusso informativo che mancava.
In ”Stai zitta”, Michela Murgia scrive: «Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la piú sovversiva». Non c’è niente di più vero. Parlare è sovversivo, è la nostra arma, un’arma pura, è l’unica possibilità che abbiamo e l’unica possibilità che probabilmente adotteremmo. La violenza genera violenza. Parliamo. Il potere della parola è largamente sottovalutato. Eppure le parole possono uccidere, possono ferire… ma rischiano, per fortuna, anche di salvare e salvarci.
Virginia Diaco