A Rossano invece l’antico quartiere ebraico è andato distrutto a causa di eventi sismici e dell’azione umana che nel tempo hanno trasformato il tessuto urbano e pertanto per raffigurarcelo non possiamo che affidarci alle ricostruzioni e alle descrizioni fatte dagli studiosi che si sono occupati della storia di Rossano.
Degli ebrei di Rossano si parla innanzitutto nel Bios di San Nilo, del X secolo, grazie ai rapporti che il Santo intratteneva con Shabbatai Donnolo, scienziato e medico di religione ebraica suo contemporaneo, e poi in alcuni rogiti notarili del XVI e XVII secolo mentre l’unica testimonianza dell’antico quartiere ancora tangibile è la Porta Giudecca, situata nei pressi del Liceo Classico, Porta che pertanto andrebbe conservata e ben mantenuta in quanto unica rappresentazione concreta di un capitolo importante della storia cittadina. Infatti secondo alcuni la comunità ebraica di Rossano, verso la fine del XV secolo, arrivava a contare circa sedicimila persone. Ma pur considerando questo numero assolutamente sovrastimato è comunque indicativo che la stessa fosse molto numerosa.
In tempi recenti uno studio approfondito della Giudecca è stato realizzato da Franco Joele Pace che all’argomento ha dedicato anni di ricerca e di approfondimenti scrivendo in proposito vari articoli e pubblicando nel 2022 un libro dal titolo “La Judeca di Rossano al tempo di Shabbatai Donnolo e di San Nilo Juniore (sec. X)” che in apertura si pregia di una nota di Anna Quarzi, presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara, e di una prefazione di Amedeo Spagnoletto direttore del Museo Nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah Meis di Ferrara. E da tali pubblicazioni sono ricavate le notizie utilizzate per scrivere quest’articolo.
Da profani della materia ma curiosi della storia cittadina il primo quesito che viene spontaneo porsi, parlando della comunità ebraica rossanese, verte sul luogo dove si trovava la sinagoga. Prima di arrivare però a tentare di rispondere a questa domanda “insidiosa” risulta utile iniziare a definire i confini del quartiere ebraico dell’epoca che non poteva che essere collegato al centro cittadino, pur dovendosi trovare in una situazione di “emarginazione religiosa”, alla quale era costretta la comunità israelita, e di una “emarginazione ambientale” in quanto gli ebrei realizzavano la tintoria dei panni e la conceria delle pelli, dalle quali ricavavano le pergamene, il cui trattamento provocava odori nauseanti. Nelle vicinanze di Porta Giudecca esisteva l’avvallamento di Catiniti con le sue sorgenti (a solo scopo indicativo immaginabile tra la curva di via XX settembre e via Catiniti), che il de Rosis chiama “fonte di acqua perenne”, che servivano appunto per queste lavorazioni. Nella parte bassa della Città, a ricordo dell’antica lavorazione, esiste tutt’ora la “Via Conceria”.
La comunità ebraica doveva comunque trovarsi non lontana dal vescovato in quanto tra il decimo e dodicesimo secolo era passata sotto la supervisione e il controllo dell’autorità religiosa della Città che provvedeva anche a riscuotere i tributi che incassava la Curia.
Secondo lo storico Henri Brese alla comunità ebraica per potersi dire tale necessitavano – come si è visto in apertura con Pitigliano – la sinagoga, il bagno, il mattatoio e il cimitero che doveva essere fuori dalle mura cittadine, con una porta per l’accesso.
A Rossano la Porta per fortuna ancora c’è ed è quindi facile presumere che il quartiere ebraico si estendesse dalla Porta Giudecca a salire, in direzione della Cattedrale. Un ulteriore indizio, marginale ma che comunque si vuole segnalare, è rappresentato dalla circostanza che in quest’ambito – a metà strada tra la Cattedrale e la Porta Giudecca – risiedeva anche la nobile famiglia De Russis di origine ebraica. L’affermazione dello storico Brese, riportata da Joele Pace, è assolutamente in linea con l’esempio di Pitigliano e aiuta a escludere dalla probabile localizzazione della sinagoga ipotesi di luoghi distanti da Porta Giudecca mentre bisogna considerare che ci fu un tempo in cui l’antico monastero delle clarisse, che data inizio XVI secolo, per intendersi il grande complesso che va dal Liceo Classico all’ex Scuola Elementare di Santa Chiara, non esisteva e non a caso venne realizzato dopo l’espulsione degli ebrei da Rossano.
Ed è proprio su questa vasta area che, insieme a delle abitazioni, si trovava la sinagoga che quando gli ebrei furono espulsi, tra il XV e XVI secolo, venne trasformata nella chiesa di San Nicola della Comitia (da non confondere con le chiese di San Nicola all’Olivo, San Nicola al Vallone e San Nicola la Placa) e successivamente inglobata nel costruendo convento delle clarisse. La Comitia era la “piazza piccola” cittadina che era situata proprio in quest’area, come da rogiti notarili del XVI secolo, dove si ritiene appunto che la sinagoga fosse collocata. Per precisione esisteva anche una “piazza grande” che comprendeva all’incirca l’odierna Piazza del Popolo e la cosiddetta Piazzetta.
Il testo di Franco Joele è uno scrigno dal quale si possono estrarre mille notizie e tanti particolari sull’ebraismo rossanese e questo articoletto ne ha utilizzato indegnamente solo pochissimi elementi comunque utili per tentare di farsi un’idea sulla collocazione topografica di quel particolare mondo cittadino oggi scomparso.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo è un grande curioso di storie e avvenimenti rossanesi,
coriglianesi e più in generale calabresi e gli articoli che prepara per Informazione & Comunicazione
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Una risposta
Più che poche note, riportate con ‘affetto e nostalgia’ per sentire le nostre radici, senza arroganza. Grazie.