Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!
Una lettura non certo rilassante quella che propongo oggi, ma più che mai necessaria. Per comprendere, non dimenticare e fuggire la tentazione di girarci dall’altra parte. Dinanzi alle guerre e alla “banalità” della crudeltà umana.
Scanditi dalle quattro stagioni, Zora, la protagonista, ci racconta i dieci mesi di assedio ai quali è sopravvissuta. Dobbiamo tornare al 1992, l’anno di espressioni impronunciabili come “pulizia etnica”. A marzo, in seguito a un referendum, la Bosnia-Erzegovina, dopo Slovenia e Croazia, dichiara la propria indipendenza dalla Jugoslavia e da Milošević; il riconoscimento da parte dell’UE arriva il mese successivo. Sarajevo è una città tollerante e bellissima, delineata dalle montagne, i tetti rossi dei bazar, l’imponenza dei ponti ottomani, le curve nere e verdi delle cupole, le striature bianche dei minareti, il grigio-bruno dei campanili e i mahala, gli antichi quartieri che si irradiano nel centro come la spirale di una chiocciola. Metà della popolazione è musulmana, un quarto serba, un decimo croata; un terzo dei matrimoni è misto e i bambini sono semplicemente “jugoslavi”. Uniti dai ponti che suggellano l’incontro tra Oriente e Occidente.
Nella primavera del ’92, Zora ha 55 anni, è pittrice scultrice e insegnante di Storia dell’arte. Suo marito e sua madre sono andati in Inghilterra a trovare la figlia e lei pregusta la libertà di assecondare solo i propri bisogni. Si ritroverà, invece, imprigionata in un tempo sospeso. Nella sua Sarajevo bombardata, con cecchini appostati dietro le colline, scuole e uffici chiusi, scaffali vuoti, strade barricate, gente che prova a scappare e ragazzini che si arruolano o sono precettati. A sovrastare tutto c’è il puzzo della paura, insieme a quello della fame e poi dell’afa estiva e dei cadaveri lasciati in mezzo alle vie.
Tagliate elettricità, acqua e linee telefoniche. Bisogna razionare, il cibo e le speranze. Mangiare zuppe di ortiche e piccioni grigliati. Fare le code per accaparrarsi gli aiuti umanitari, mendicanti nella propria città che si apre come una piaga, mentre stranieri facoltosi pagano per provare il brivido di essere cecchini per un weekend.
Nell’aria e tra i capelli dei passanti frammenti di libri e quadri inceneriti, le “farfalle del titolo”: la Vijećnica, sede del Municipio della Biblioteca Nazionale e di alcuni studi artistici, brucia per giorni.
Con Zora, murati vivi una pietra per volta, ci sono i suoi allievi e i suoi vicini. In particolare Una, bambina di sette anni, con la quale dipinge un albero sulla parete della cucina (la piccola, ahinoi, sarà colpita da un proiettile perché cede alla tentazione di salire su un’altalena innevata) e Mirsad, libraio al quale si stringerà nelle notti gelide. Dopo, lei, non riuscirà a ricordare se è stato lui a costringerla ad andare o se è stata lei, nonostante lui, a decidere di scappare.
Zora è rocambolescamente salvata dal genero inglese e da Eddie l’Olandese, un ragazzo che spiega: «Non ho legami con la Bosnia, ma non sono riuscito a restare a casa a guardare il telegiornale. C’è un Paese in guerra e nessuno fa niente. Aiuto a scappare musulmani, serbi e croati. Non m’interessa chi sono, sono uomini».
La guerra, in Bosnia, prosegue fino al 1995 (Accordo di Dayton), ma il primo anno è il peggiore in termini di morte e distruzione. Il ponte di Mostar crolla. Compaiono campi di stupro e di concentramento. A Srebrenica sarà genocidio.
Oltre a non non poter ipotizzare di attaccare la Russia, la Storia sembra insegnare che, in periodi di guerre e pandemie, gli uomini attaccano e si difendono allo stesso modo, “nei secoli dei secoli”. Possiamo e vogliamo smentirla? Questo romanzo storico, ma attualissimo, di Priscilla Morris (Le farfalle di Sarajevo, Neri Pozza, novembre 2023) ce lo chiede a gran voce.
Gemma
PS. È stato difficile tradurre in parole lo strazio filtrato da alcune pagine. Ma ho insistito, perché credo fermamente nell’urgenza dei nostri piccoli passi. Dare un nome agli orrori lo è.
Andiamo a visitare Sarajevo! E non smettiamo di indignarci per ciò che accade a Kiev e Gaza!
Gemma GuidoGemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli. |