Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!
Questa domenica sorvoliamo la ville lumière per inebriarci della sua atmosfera bohémien e d’autore e conoscere la decenne Lisa, vittima di un’inspiegabile cecità transitoria («Si era fatto tutto buio» sono le prime parole del prologo) e protagonista de “Gli occhi di Monna Lisa” (Longanesi, febbraio), caso editoriale globale di Thomas Schlesser, storico dell’arte, direttore della fondazione Hartung-Bergman, docente all’École polytechnique. , biografo di pittori e artisti.
Dopo poco più di un’ora, Lisa torna a vedere, ma il presente e il futuro non le appaiono più allo stesso modo. Il trauma psicologico richiede una terapia psichiatrica, riferiscono i medici ai genitori. Il padre, Paul, è piuttosto smarrito, preoccupato per gli affari del suo negozio di robivecchi, che rischia il fallimento e che lo ha portato a stordirsi con l’alcol. La madre, Camille, prossima ai quaranta, lavora in un’agenzia interinale e vorrebbe garantire a Lisa una certa serenità, ma non riesce a celare le sue ansie. Il nonno Henry sa cosa fare e lo rivela alla bambina, piegando le lunghissime gambe magre per mettersi alla sua altezza e parlarle occhi negli occhi, la prima volta che oltrepassano la grande piramide di vetro del Louvre: «Lisa, ogni settimana, dopo la scuola, verremo insieme al museo per vedere un’opera, una soltanto, non di più. Le persone intorno a noi vorrebbero inghiottire tutto quanto in una volta sola, ma si perdono senza sapere come gestire i loro desideri. Noi saremo molto più saggi e ragionevoli. Ammireremo, un’unica opera, all’inizio restando in silenzio per alcuni minuti, per poi discuterne».
Lisa adora il nonno, soprannominato Dadé, un anziano pieno di energie, che rifiuta l’uso del cellulare e ogni sera sfoglia i libri impilati fino al soffitto. La sua proposta per il mercoledì pomeriggio non sarà forse la soluzione, ma offre un conforto immediato e, se la bambina rischia di sprofondare nel buio definitivo, asseconda l’urgenza di mostrarle la bellezza creata dagli esseri umani. L’idea di questa “medicina alternativa” è buona e giustifica l’acquisto e la lettura dilazionata del tomo di 430 pagine. Va considerato come un catalogo o un manuale per meditare sulle opere e i loro creatori, chi vi cercherà un romanzo avvincente rimarrà deluso.
L’obiettivo di Dadé, come ben spiegato, non è un veloce e bulimico giro per le sale ma la focalizzazione su un’installazione paradigmatica, della quale, durante l’osservazione taciturna dei protagonisti, noi troviamo la descrizione in un paragrafo in corsivo (da accompagnare alla visione della riproduzione nell’appendice al centro del libro). Henry approfitta delle domande della nipotina per ampliare la riflessione, ricorrendo a riflessioni socio-culturali e storiche sul periodo in cui sono vissuti gli artisti, ad agganci letterari e rimandi metapittorici. Esplorare l’arte è, del resto, immergersi anzitutto, in un contesto. Ma anche evadere dal nostro presente, interrogando il passato, altri problemi, altre donne e altri uomini. Sentendosi meno soli. Perché «dipingere era prima di tutto un atto d’amore».
Avanziamo così tra i capitoli intitolati a un artista, nel sottotitolo un insegnamento che verrà chiarito, l’inizio e la fine sono solitamente occupati dalle vicende famigliari, gli spostamenti, le tenere incursioni di Lisa nel negozio del papà, le giornate scolastiche. Il fulcro è sprofondare nell’opera della settimana, il prendersi tempo per la “bellezza”, prima di tornare al movimento, alle azioni, agli eventi che non possiamo controllare. I musei, qui illustrati da Elisa che adora l’antica Lutezia, diventano una cornice per esplorare la psiche umana, l’identità e la percezione. Un’indagine, piena di curiosità, su 52 opere e su chi è riuscito a trasfigurare la vita, bloccarla su una tela o, forgiando materiali, a perpetuarla.
Sulla rive droite, nel I arrondissement, tra la Senna e rue de Rivoli, potremo ammirare, tra gli altri capolavori, “Venere e le tre Grazie” di Botticelli e imparare a ricevere, “La Gioconda” di Leonardo da Vinci e sorridere alla vita, “La bella giardiniera” di Raffaello e coltivare il distacco, “Concerto campestre” di Tiziano e fidarci dell’immaginazione, “Schiavo morente” di Michelangelo e liberarci della materia, “Autoritratto al cavalletto” di Rembrandt e conoscere noi stessi, “L’astronomo” di Vermeer e sospettare che l’infinitamente piccolo è infinitamente grande, “Il molo” di Canaletto e mettere in pausa il mondo, “Natura morta con testa di agnello” di Goya e scoprire che i mostri si annidano dappertutto, “L’albero dei corvi” di Friedrich e chiudere l’occhio del corpo.
In rue de la Légion d’Honneur 1, al Museo d’Orsay, rintracceremo “Funerale a Ornans” di Courbet per gridare forte e camminare dritti, “L’asparago” di Manet per domandarci se “less is more”, “La stazione di Saint-Lazare” di Monet per abbandonarci al tutto che scorre (πάντα ῥεῖ), “L’étoile” di Degas per danzare la nostra esistenza, “La montagna Sainte-Victoire” di Cézanne per lottare e insistere, “La chiesa di Auvers” di van Gogh per fissare le nostre vertigini, “L’età matura” di Claudel per rimembrare che l’amore è desiderio e il desiderio è mancanza, “Cespugli di rose sotto gli alberi” di Klimt per resistere alle pulsioni di morte, “Mucchi di fieno III” di Mondrian per semplificare.
Al Centro Pompidou, in rue Beaubourg 19, contempleremo “Portabottiglie” di Duchamp e metteremo tutto in disordine, “Il modello rosso” di Magritte e ascolteremo l’inconscio, “La cornice” di Kahlo e ciò che non ci ha ucciso ci fortificherà, “Serenata al mattino” di Picasso e romperemo tutto, “Pittura” di Pollock ed entreremo in trance, “Senza titolo, 1983” di Basquiat ed usciremo dall’ombra, “Vuotare la propria barca, entrare nella corrente” di Abromović e coglieremo l’opportunità di una separazione.
Consiglio il testo ad alunni e colleghi della mia scuola, a coloro che non hanno visitato Parigi, a chi la ama e a chi la fugge, ai tanti che riempiono i musei nei giorni festivi e non, a quelli che vogliono placare gli affanni in maniera sublime e sana (Flaubert e Goethe) e ingannare la monotonia (Wilde), scuotere dall’anima la polvere e riconoscere la verità (Picasso), competere con la bellezza dei fiori (Chagall), ai disturbati che vanno confortati e ai comodi che vanno disturbati (Banksy).
Lo sappiamo, italiani, abbiamo avuto la fortuna di nascere nel Paese che eterna Storia e Arte, approfittiamone! Non abbiamo bisogno di aerei per “curarci”, ma solo di guardarci intorno, esplorare e prendere la buona abitudine, ottima per educare i bambini, di ritagliarci un appuntamento frequente con la bellezza. Non sempre sarà in grado di sostituire lo psichiatra, ma le emozioni e gli stimoli positivi sono assicurati!
Gemma
Che Gemma di libro! ~ ogni domenica su I&CGemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli. |