Il processo dovrebbe iniziare a breve ma ancora nessuna data è stata comunicata alla famiglia in quanto le autorità locali hanno garantito che si sarebbero concentrati sul caso dopo l’estate, visto l’afflusso di turisti anche italiani nella città in cui risiedeva Massimo Bevacqua. Inoltre, non è nemmeno chiaro il rapporto che c’era tra l’omicida e il docente italiano. Il quotidiano tunisino Aal-Chourouk ed altri portali online hanno ipotizzato una complicità tra i due ma la famiglia e gli amici più stretti sottolineano che l’assassino non era amico di Bevacqua e che evidentemente era un conoscente al quale aveva voluto solo offrire aiuto.
La sorella del docente, Giuseppina Bevacqua, contattata telefonicamente, non ha nascosto il suo rammarico per una verità che ancora stenta a venire fuori. Non solo alla famiglia è stato impedito di nominare un perito di parte durante l’autopsia ma non è stato restituito loro alcun effetto personale in quanto l’abitazione è ancora sotto sequestro. I familiari hanno incaricato un avvocato tunisino il quale ha garantito che chiederà al tribunale di condannare l’indagato al carcere a vita visto i tre capi d’imputazione: omicidio, rapina e tentato incendio doloso.
Come anticipato a febbraio su queste colonne, chi ha avuto modo di accedere agli atti conferma la morte per accoltellamento e sempre da quanto trapelato, l’omicida avrebbe sostenuto compiuto il delitto «per legittima reazione», ma in realtà le autorità tunisine avrebbero impedito di far luce sul caso mettendo tutto a tacere e rimandando il tutto. La famiglia Bevacqua dalla Calabria sta facendo i conti col dolore di apprendere di tanto in tanto presunte verità che non trovano riscontro: «Cercare una verità – dice la sorella Giuseppina – è doppiamente doloroso poiché non c’è solo l’ostacolo della lingua e della giustizia diversa ma anche perché nessuno testimonierà o denuncerà cose scomode per le stesse autorità tunisine. Purtroppo la verità la sa solo Massimo. E nessuno ce lo potrà restituire. Noi ora abbiamo solo il dovere di rendergli giustizia». Oltre ai dubbi che ormai emergono e tutte le incongruenze, c’è anche il timore che non sia l’arrestato il vero colpevole e che le autorità locali facciano cadere il tutto nel dimenticatoio, come accaduto in altri casi dove erano coinvolti stranieri. Con confessioni poi ritrattate nel corso degli anni.
(FONTE IL RESTO DEL CARLINO)