Corigliano Rossano – Quante correnti avverse alla fusione… L’immaturità galoppa a questi orizzonti. D’altronde se non avessimo una classe dirigente irresponsabile non saremmo in queste condizioni. Parlo di classe dirigente e non di comunità perché, almeno in questo caso, l’elettorato ha dato delle indicazioni positive di cambiamento e di rinnovamento mediante il referendum. Purtroppo la volontà popolare viene puntualmente calpestata da chi resta comodo, dietro le scrivanie pagato da noi tutti, a non dare seguito alle indicazioni fornite dall’elettorato e da una legge regionale. Leggendo una nota dell’Osservatorio permanente sugli effetti e la gestione della fusione, possiamo constatare come l’ufficio del commissario non abbia fatto granché per l’unificazione delle due ex città, anzi non vi è una sola notizia confortante in questa direzione. Le due amministrazioni uscenti hanno lasciato in eredità all’attuale ufficio del commissario una situazione a dir poco svilente, la burocrazia comunale ha la mentalità del posto di lavoro “sotto casa”, la deputazione parlamentare (eccezion fatta per qualche singola rappresentanza) ha assunto l’atteggiamento di chi afferma “l’avevamo detto”, in linea con i rappresentanti del NO. Infine l’attuale gestione pre elettorale dell’intera classe politica, avvitata sui nomi e sugli accordi per la candidatura a sindaco, con i partiti tradizionali legati mani e piedi alle strutture verticistiche. Questo è il quadro complessivo che si ritrova la parte sana di chi crede nell’ambizioso progetto di fusione portato avanti e sostenuto dal basso. La politica non parla di programma e di progetti, ma antepone i volti. Che dovrebbero essere certezza di cosa senza un programma? Si può sapere come sarà costruita questa nuova città? Quale la filosofia di fondo? Quali i rapporti con Cosenza, Catanzaro e Reggio? Come uscire da questa forma di cronico assoggettamento e ghettizzazione in ambito regionale? Sanità, giustizia, trasporti, criminalità, corruzione, urbanistica, ambiente… i temi sono tanti ma siamo costretti a sorbirci discussioni su congressi annullati, personalità avvitate su se stesse, irremovibili, non disponibili a fare ciascuno un passo indietro in nome di un processo storico irripetibile. Si confondono le campagne elettorali del passato, da borgo, con una come questa che presenta caratteristiche ben diverse. In questo disordine sguazzano quanti sono abituati a fare carriera nel trarre profitto proprio dal caos. A pochi mesi dall’appuntamento elettorale (maggio 2019) siamo con un pugno di mosche in mano. Nessuno ha ufficializzato candidature, programmi e progetti. Mettere ordine significa semplicemente stilare un programma elettorale ( non un libro dei sogni), concreto anche a mo’ di patto per il territorio attorno al quale far confluire le condivisioni. I metodi invece finora portati avanti propongono un percorso inverso: prima le persone poi i progetti, affidando ai singoli il potere di gestire la nuova città come meglio si crede. E, soprattutto, mettendo a rischio la futura stabilità di governo. Si rinvengono delle ammucchiate che contengono diversità culturali enormi, portatori di voti che di certo una volta eletti per abitudine e metodo battono cassa. Questo il contesto sociale che l’attuale classe dirigente ha saputo costruire. Nel frattempo c’è chi è persino soddisfatto dell’attuale stato di cose, riproponendo come alternativa quel “passato” la cui gestione pessima ha portato proprio a pensare al necessario processo di fusione.