L’ipocrisia, tutta in salsa italiana, è elemento cardine dell’epoca in cui viviamo. In tanti hanno da ridire sui “furbetti” che potrebbero ruotare attorno al reddito di cittadinanza. E lo fanno al fine di sminuire tale strumento per importanza ed efficacia. Ci si preoccupa in sostanza del pericolo che il disoccupato percettore dei 780 euro possa contestualmente svolgere altra attività in nero. E parliamo di livelli di povertà di cui lo Stato, per la prima volta, si prende carico in ossequio ai principi costituzionali, incanalando giovani e meno giovani disperati nel mondo del lavoro, prendendoli per mano, guidandoli, in un’Italia abituata a lasciare solo il “disoccupato”, come fa con il clochard o i senzatetto. E pensare che questa proposta è avversata da una certa area politica e da organizzazioni sindacali! Non è un caso che la sinistra in Italia sia precipitata ai minimi storici. Ma perché parlo di ipocrisia? Si urla allo scandalo se un povero percepisce 780 euro e se, per necessità, cerca di arrotondare a 1.000/1.500 euro (cifra comunque modesta considerato il costo della vita) mediante lavori paralleli, ma nulla si dice riguardo alla miriade di professionisti che hanno ruoli dirigenziali nella pubblica amministrazione, con salari e indennità da capogiro, e che contestualmente svolgono (attraverso dei “prestanomi”) medesima attività in studi privati, con tanto di dubbie commistioni arcinote ai tanti. Un paradosso che dimostra come vi sia una tendenza baronesca a colpire i poveri e sorvolare sui sistemi diabolici adottati da chi si arricchisce con metodi da fetore.
Questo mio avvalorare la proposta del reddito di cittadinanza non significa sponsorizzare i pentastellati. È l’apprezzamento di un’idea e di un’azione politica quando questa è valida nell’interesse della comunità e, in questo caso, delle fasce deboli. Ma tale umiltà (o saggezza) di guardare al sociale e alle categorie meno abbienti, purtroppo, talvolta è in contrasto con una certa cultura dominante in qualche componente della deputazione parlamentare calabrese, sempre in ambienti 5 stelle. Nei giorni scorsi, ho avuto l’onore di introdurre e coordinare i lavori di un incontro pubblico a Sibari contro le mafie, al quale ha preso parte anche il Sen. Nicola Morra. Il suo intervento è stato articolato, condivisibile o meno sta agli uditori deciderlo. La mia perplessità invece si è concentrata sulla risposta che ha dato alla mia domanda circa le soluzioni che si potrebbero trovare per il territorio rispetto all’oggetto del tema. Il senso delle sue parole è stato chiaro: avremmo dovuto essere già grati della sua presenza, tenuto conto dei numerosi impegni in tutto il territorio nazionale che lo vedevano protagonista in questo periodo. Tale atteggiamento spocchioso è un vizio in uso a quanti, una volta collocati in posizioni di privilegio, si sentono “Dio sceso in terra”. Mi chiedo tuttavia: che senso ha battersi per eleggere rappresentanti locali (originari dei nostri luoghi) se poi bisogna ringraziarli solo per il fatto che ci abbiano degnato della loro presenza in eventi di discussione cittadina?
Matteo Lauria – Direttore testata giornalistica I&C
2 risposte
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Sono assolutamente d’accordo sull’analisi che ha fatto e sulle parole usate . Il meridione differisce semplicemente perché la maggior parte delle persone rasenta una ipocrisia al limite dell’ac cettabile . I meridionali sono quelli della serie ” Questo mi spetta e tu me lo dai” Non funziona così,le cose piccole fanno le grandi cose.