Enel, le proposte sul gigante. Tante per poi annullarsi

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rossano_centrale_enelEppur si (s)muove. Dopo mesi di macchina del silenzio – colpevole e paradossale, come sempre – suonata da Enel e istituzioni, si torna a tuffarsi di testa nella vertenza della centrale rossanese. Perché quel gigante di metallo affacciato sul mare non lo si può ignorare. Tanto più ora che la dirigenza del gigante energetico arriva a Rossano di gran carriera per individuare la potenziale nuova “destinazione” dell’impianto di contrada Cutura.
Che ha tutti e due i piedi nella fossa di chi non ha niente da perdere, ma tutto da guadagnare.
L’approccio, perlomeno teoricamente, è dei migliori: un “concorso d’idee” che coinvolga attivamente tutti gli attori sociali nell’identificazione di un progetto industriale e di sviluppo condiviso.
Ma la carne al fuoco è tanta, forse troppa. E rischia di andare in fumo, bruciata. Se infatti di atti concreti non è spuntata neanche l’ombra, negli ultimi mesi, sull’ennesimo carrozzone delle proposte – a volte indecenti – sono saltati in tanti.
Un mucchio di progettualità tale da spezzare le gambe a quanti pensavano che la Sibaritide fosse povera di inventiva.
C’è il polo tecnologico di Giuseppe Antoniotti, promotore di un programma che prevede «l’insediamento, all’interno dell’area, di un Cloud Computing, con annessi laboratori per la produzione di software per l’utilizzo della rete a banda ultralarga, seguendo le direttive strategiche del Governo mirate a coprire l’intera utenza italiana – pubblica, aziendale e privata – con la tecnologia della fibra ottica. Soprattutto nelle zone “fuori mercato” per i gestori delle reti di telecomunicazione, situate perlopiù al Sud, dove interverrà direttamente lo Stato.
E il sito di Rossano in questo programma sarebbe del tutto baricentrico. Dunque un’idea rivoluzionaria ad impatto ambientale zero, non inquinante, ultratecnologica e che prevede l’impiego di manodopera e di figure professionali altamente specializzate».
E poi il prospetto – avanzato da Giuseppe Caputo – di spostare in contrada Cutura il porticciolo turistico attualmente zonizzato a Torre Pinta e dar vita a un centro residenziale da sviluppare su 60 ettari di terreno, della cui realizzazione si potrebbe in parte far carico la Regione, dato che il porto è inserito nella rete della portualità calabrese.
«E non si tratterebbe, come qualcuno ha volutamente frainteso, di un banale centro commerciale.
È un’idea che può trasformarsi in progetto nella misura in cui un amministratore, se ne è capace, riesce a dialogare e confrontarsi con gli altri attori del territorio per il raggiungimento di un obiettivo concreto.
Che non è produrre un’idea tecnica, quella Enel se la sa sviluppare da sola e non dobbiamo certo suggerirgliela noi, con il rischio tra l’altro di avanzare proposte sciocche e stupide come quella di un termovalorizzatore».
Passando per l’impianto solare termodinamico che Flavio Stasi e il suo Movimento Terra e Popolo hanno presentato come una tecnologia completamente rinnovabile e fortemente innovativa, tutta votata allo sfruttamento come fonte energetica primaria della radiazione solare, accumulata sotto forma di calore per mezzo di tecniche di concentrazione solare e riconvertita ai fini della produzione di energia elettrica.
«Un passaggio possibile e conveniente dal punto di vista economico, oltre che sociale e ambientale».
Dell’ultim’ora, infine, è la virata di Tonino Caracciolo e #RossanoFutura sulle biotecnologie.
«I flussi d’acqua disponibili possono essere occasione di ricerca, per esempio, nell’uso delle alghe che promettono importanti sviluppi imprenditoriali. Un campo, questo, sul quale è possibile veicolare tecnologie, ricerca e capitali». Non possiamo che sostenere gli sforzi aggiuntivi di ognuno, certamente creativi e – per questo – apprezzabili.
Ma ha senso affrontare una realtà talmente complessa e sostanziale con una leggerezza che rasenta la negligenza? Pensando solo a come, dove e quando si debbano fare i confronti?
Facile destare sospetti di superficialità quando a certi studi di fattibilità mancano certificazioni su un’idonea copertura finanziaria, sul tasso di occupazione garantita piuttosto che sulla produzione di indotto.
Certo non sono queste le premesse che avremmo voluto all’apertura della nostra Piana a nuove aree di sviluppo.

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