Crotone – Il caso dell’Apollo Sauroctono, il presunto bronzo di Prassitele (IV sec. a.C.) esposto nel Cleveland Museum of Art che, nonostante l’asserita provenienza dalla Germania, si suppone sia stato trafugato in area mediterranea (tant’è che Grecia e Turchia ne hanno rivendicata la proprietà), è esemplare della necessità di ripensare la politica del MiBACT nei confronti dei musei stranieri che non rispettano le regole deontologiche condivise dalla comunità internazionale. Negli USA, appunto, istituti come il celebre “J.P. Gatty Museum” di Malibù trattengono presso di sé molti capolavori di accertata origine italiana, compreso l’Atleta di Fano, non restituito a dispetto della sentenza del dicembre 2018 che ne ha reso definitivo il sequestro. Altri musei, pur avendo firmato accordi di cooperazione con l’Italia, continuano ad acquistare sul mercato illegale e a sottrarsi alle proprie responsabilità. Il citato museo dell’Ohio, in specie, nonostante l’impegno esplicito assunto nel 2008 con il MiBACT, non risulta abbia fin qui consentito ai nostri specialisti di esaminare l’Apollo, né consegnato i dati riguardanti le analisi effettuate e il restauro dell’opera, eseguito prima dell’esposizione al pubblico. Ho chiesto perciò al Ministro Franceschini, con l’ennesima interrogazione a lui indirizzata (la n. 22), se esistano prove documentali della presenza della statua in Germania prima della firma della Convenzione UNESCO di Parigi del 1970 e se le autorità italiane, per il tramite dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, abbiano mai chiesto di interrogare o interrogato i protagonisti della trattativa commerciale con il museo di Cleveland, per tentare di ricostruire la scabrosa vicenda. Più in generale, poi, ho chiesto di sapere in quanti casi il Memorandum d’intesa Italia-USA del 2001 abbia finora trovato applicazione: una domanda retorica, perché non sembra che il MiBACT ne abbia mai chiesto il rispetto. E se non creda giunto il momento di prendere le distanze dalla strategia che negli scorsi anni ha premiato con collaborazioni a senso unico e prestiti pluriennali di reperti dei nostri musei nazionali proprio i musei stranieri meno attenti alla legalità e, ancora, “se non ritenga opportuno cessare di assecondare questi consapevoli predatori della nostre antichità in cambio della restituzione di pochi pezzi eclatanti, mentre nei depositi di detti istituti resta, spesso neppure reclamato, il frutto di migliaia di furti d’arte commessi in territorio italiano” (Comunicato stampa).