Quando venne arrestato il vescovo di Rossano, racconto di Martino A. Rizzo

Corigliano Rossano – Intorno alle ore 19.00 di sabato 20 ottobre 1860 nella sede del vescovado di Rossano venne arrestato il Vescovo Mons. Pietro Cilento (Napoli 16.6.1806 – Rossano 21.3.1885). Da Cosenza, muniti di mandato di cattura firmato dal Governatore della Provincia Donato Morelli, erano arrivati per compiere questa missione il Commissario di Polizia Domenico Parisio e 150 carabinieri agli ordini del Capitano Alfonso Grandinetti. La colpa addebitata all’alto prelato era quella di aver svolto attività filoborbonica cercando di sabotare il plebiscito, con il quale veniva chiesto agli elettori di esprimersi sull’unificazione dell’Italia sotto la corona di Vittorio Emanuele II, in programma per il giorno successivo. L’arresto fu preceduto da una perquisizione dell’abitazione del presule in cerca di materiale compromettente e, su sua richiesta, furono invitati a presenziare a questo atto il giudice Domenico Lepiane, il sindaco, barone Fortunato Amarelli, e il capo della Guardia Nazionale, barone Gennaro Labonia. L’impresa garibaldina, la cacciata di Francesco II, l’arrivo di un nuovo sovrano, avevano creato nel Regno delle Due Sicilie una profonda lacerazione in tutti i ceti della popolazione. C’era chi aveva lottato e sofferto prigionia ed esilio per l’Unità, ma c’erano anche quelli che erano rimasti legati alla dinastia borbonica. In questo gruppo di sicuro era da annoverare Mons. Cilento. Cappellano di corte a Napoli, fedelissimo della regina Maria Isabella, madre di Ferdinando II. Cilento a soli 38 anni era stato nominato vescovo di Rossano e la sua devozione ai Borbone era pari a quella per la Chiesa Cattolica. Tutti ricordavano la solenne celebrazione che nel 1848 aveva officiato nella Cattedrale di Rossano per la morte della regina Maria Isabella. In quell’anno turbolento per la vita del Regno, la cerimonia aveva assunto un significato che andava ben oltre la funzione religiosa. Domenica 21, giorno del plebiscito, il Vescovo accompagnato dal Cerimoniere della Curia, Don Gaetano Romano, e da un cameriere, partì scortato dal Capitano Grandinetti per le carceri S. Agostino di Cosenza. Il Commissario Parisio si fermò invece in città per completare l’istruttoria contro Cilento.
Tra le accuse rivolte al Vescovo c’era anche quella di aver emanato una direttiva al clero sull’atteggiamento da tenere nelle votazioni. Tale documento, con discorsi contorti e curiali, alla fine concludeva consigliando ai prelati di votare no e “qualora un vano timore vi dovesse mettere nella circostanza di cedere ai suggerimenti della vostra coscienza, meglio sarebbe astenervi, il quale peraltro a nulla mena, e ve lo consigliamo.” Aggiungendo che “sarebbe anche a desiderarsi che il popolo (con prudenza) conosca il suo dovere, onde non sia more pecudum trascinato a dare il voto”. Ma i sacerdoti come presero i suggerimenti del loro Vescovo? Per quanto riguarda l’atteggiamento del clero di Rossano, solo due parroci parteciparono alla votazione mentre i sacerdoti ordinati da Cilento si astennero. A Corigliano, i Riformati, si espressero tutti e tredici per il no. Il clero di S. Pietro e tutta la comunità dei Paolotti parteciparono invece alla votazione e votarono per il sì. Così fece anche il clero di Santa Maria, ma non l’Arciprete e tre Cappuccini. Si astennero inoltre la comunità dei
Liguorini al completo, i rimanenti quattro componenti della famiglia dei Cappuccini, il parroco di S. Luca, Vincenzo Patari, e quello d'Ognissanti, Infantino Del Gaudio. In tutti i paesi del Circondario la vittoria dei sì fu schiacciante. A Cropalati si registrò un solo no da parte di Luigi Viola. Le indagini svolte da Parisio portarono a formulare un elenco di religiosi sospetti. Tra questi, a Rossano, figuravano i canonici Mariano Rizzo, Antonio De Muro, Giacinto de Falco e Gaetano Romano, il guardiano dei cappuccini Padre Mariano da Laino, il Cantore Francesco Berlingieri, i sacerdoti Vincenzo Nicastro, Giuseppe Ciconte, Claudio Abbastante e Vincenzo Basile, Nilo Federico, il seminarista Pasquale Bianco, l’Arciprete Antonio De Gennaro – che in Curia coadiuvava il Vescovo – e i parroci di Rossano Antonio Graziano, Pasquale Abbastante, Nilo Abbastante, Giovanni De Marco e Antonio Scarnati. A Corigliano furono segnalati i cappuccini Padre Giannantonio da Longobucco, Padre Bonaventura da Mormanno, Padre Leonardo da Francavilla, Padre Luigi da Rotonda e Padre Raffaele da Trebisacce, l’Arciprete Raffale Bruno insieme al parroco Infantino Del Gaudio e ai sacerdoti Antonio Linardi, Gennaro Lapetra, Giuseppe Schiavello, Giovanni Zanfino e Giovanni Melingeni. Il Commissario Parisio durante le indagini ascoltò anche le deposizioni di «cittadini probi» che gli erano stati segnalati, su suo invito, dal Sindaco Amarelli. Tra questi: il parroco Don Francesco Romano, i proprietari Don Giuseppe Toscano, Don Serafino De Muro, Don Francesco De Lauro e Don Vincenzo Ioele, l’orefice Don Raffaele Rizzo, l’ornamentista Don Pasquale Carratella e il sarto Mastro Natale Amodeo. Comunque il 22 ottobre un gruppo di rappresentanti del Clero sottoscrisse una dichiarazione con la quale promise di aderire al nuovo governo del Regno e di non
fare propaganda contraria. Tra i firmatari di tale atto molti erano presenti anche nella lista nera di Parisio, a dimostrazione che la confusione era grande e per tanti era più sicuro tenere i piedi su più fronti in attesa degli eventi finali. Parisio nel corso delle sue indagini trovò elementi anche contro Don Nilo Federico che venne arrestato e portato anche lui nel carcere cosentino.
Poi, il 7 novembre 1860, all’ingresso di Vittorio Emanuele II a Napoli, a Rossano ci furono feste e luminarie a spese del Comune e vennero trasmessi felicitazioni al nuovo sovrano, tra i quali entusiastico fu l’omaggio del Canonico Gregorio Maria Fistilli.
Il 17 dicembre 1860 Mons. Cilento e Don Nilo Federico, “in difformità della requisitoria” del Procuratore di Cosenza furono prosciolti dalle accuse. Cilento, scarcerato, partì per Napoli dove nel 1864 venne raggiunto da una nuova denuncia da parte del sotto-prefetto di Rossano. Infatti il sacerdote rossanese Domenico Acri, in
una lettera sequestrata dalla polizia, dava assicurazione che Domenico Mannarino avrebbe donato ventimila ducati al Comitato Borbonico di Napoli e il Vescovo, per l’occasione, avrebbe fatto da cassiere. Dalle indagini risultò che erano altresì complici della congiura anche Michele Acri, Domenico de Stefano e il Canonico De
Muro. Ma pure per questa accusa, grazie all’amnistia, non ci fu seguito. Così, dopo sette anni, il 1867, finalmente Cilento fece ritorno nella sua Diocesi dove continuò a svolgere il suo servizio pastorale fino alla fine dei suoi giorni.

 

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

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