di SERAFINO CARUSO
È davvero tutta colpa della politica e dei politici di professione se i giovani si sono disaffezionati sempre più alla più nobile delle azioni sociali? Non sempre. Prendiamo il nostro territorio. Depredato di tanti servizi essenziali a causa di una logica e di un modo di fare politica che risponde a logiche di potere lontane dal vero senso di fare politica. Se, da una parte, questo dato dovrebbe far scattare un moto d’orgoglio, una vera e propria presa di coscienza collettiva capace di far riappropriare i cittadini di ciò che spetta loro di diritto (parliamo, tra tanti, di diritti fondamentali, quali la sanità, la giustizia, la legalità, i trasporti, un ambiente sano e pulito), dall’altro, fa l’esatto contrario: li allontana. I motivi, come dicevamo in apertura, possono essere i più svariati. Innanzitutto, il modo in cui si è fatto politica (e si continua, per molti versi, a fare) in questo territorio. Le decisioni sono state sempre prese dall’alto in maniera non condivisa. I cittadini sono sempre stati consultati solo nei giorni antecedenti al voto elettorale. Ciò accade ancora oggi. Si organizzano comizi, appuntamenti mirati, incontri di quartiere in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Per poi sparire di nuovo dai radar per altri 5 anni. È chiaro, quindi, che il cittadino si sente usato, sfruttato e umiliato. Il risultato non può che essere quello del distacco. Dell’allontanamento. Che si materializza con la scarsa, se non nulla, partecipazione alla vita dei partiti. Che, oltretutto, oggi affrontano una crisi interna senza precedenti. Meglio, per i giovani, un blog o un social network. Dove c’è spazio per poter esprimere idee, scrivere commenti. Spesso anche volgari. Piuttosto che un congresso o un’assemblea dove difficilmente qualcuno ti sta a sentire. I giovani, oggi, la partecipazione politica la vivono disancorata dai circuiti tradizionali. La disaffezione alla politica è alimentata anche dai nuovi strumenti di comunicazione di massa.
Dove si ha l’illusione di essere protagonisti attivi del momento politico. Sebbene si tratti di una mera illusione. Ad oggi vige la regola dei “mi piace” e dei commenti: chi più ne ha, più si sente autorizzato a sentirsi un esperto di politica. Ma la politica (quella vera) è cosa ben diversa. La politica si fa non davanti al monitor di un computer. La tecnologia deve essere uno strumento della politica. Non la politica stessa. Le nuove tecnologie, quindi, hanno il loro peso. Nella grande apatia che ha preso il sopravvento.
Nel senso di sfiducia. Nel concetto del “tanto fanno sempre quel che vogliono loro”. Che si lega, soprattutto nel nostro territorio, alla onnipresente ombra dei “grandi”. Che lasciano poco spazio (se non per niente) ai giovani. I quali faticano non poco a ritagliarsi un ruolo all’interno di partiti, movimenti e associazioni. Allora cosa si potrebbe fare? In primis, scuola e famiglia dovrebbero riprendere in mano ciò che si sono lasciati sfuggire: il dialogo. La parola. Perché, in effetti, la politica interesserebbe ai giovani. Che si allontanano, come abbiamo visto, per vari motivi. Si deve parlare di più del mancato ricambio della “classe dirigente”. Far comprendere, a chi ha voce in capitolo, che nei giovani ci sono eccellenze. Che spesso e volentieri non vengono neppure prese in considerazione. Si vada a “pescare”, quindi, nei movimenti, nella associazioni. Anche su internet. Non sono pochi i casi di coloro che, sentendosi esclusi dalle forme tradizionali della politica (partiti), si affidano a questo strumento. Si lasci spazio ai giovani, quindi. Ai giovani validi. Ce ne sono. Una selezione è necessaria. Perché alla base di tutto ci deve essere lo studio, la competenza, la professionalità. Oltre alla volontà di fare. Di agire. La strada da seguire ci sembra questa. Quantomeno bisogna tentarla.