Mi riferisco alla prevalente incapacità di far prevalere interessi, progettazione, spirito e visoni comuni rispetto allo sfogo ciclico di individualismi personali e settarismi politico-ideologici che non hanno mai trovato e non troveranno mai punti di incontro con le più autentiche e basilari esigenze ed attese di sviluppo dei nostri territori.
La rincorsa sistematica, a pochi mesi da consultazioni elettorali, alla individuazione improvvisa di nomi e persone su cui tentare di calare percorsi e capacità di aggregazione fino a quel momento inesistenti resta forse il termometro più eloquente di una generale scarsità di prospettiva e di un disinteresse sostanziale rispetto alla necessità che la Calabria interrompa definitivamente il proprio voluto destino di colonia ed inizi ad esigere rispetto e dignità anzi tutto da se stessa.
Perché non è più possibile assistere, ad ogni annuncio di tornata elettorale, al solito valzer dell’auto-referenzialità con incontri carbonari sul nulla, telecomandati da aspiranti candidati a tutto ed a niente e senza mai dichiarare alle popolazioni sia quali progetti di interesse generale e territoriale si ha forse in mente di portare avanti; sia quali iniziative di protesta si ha intenzione di mettere in piedi per contrastare, senza casacche e inchini di partito, il non inserimento o se si preferisce la cancellazione della Calabria dall’agenda delle priorità del Paese.
Perché, al di là delle non legittime aspirazioni e dei prevedibili accordi di spartizione del consenso locale su cui ci si sta cimentando con penosa riproposizione delle brutte copie locali del manuale Cencelli, è questa della sua cancellazione dall’attenzione strategica nazionale la drammatica questione aperta di questa regione, sulla quale si sta sancendo ormai il fallimento di noi tutti e dello Stato unitario.
Sì, voglio riprendere questa triste fotografia su cui sarebbe difficile del resto essere contestati: non avendo mai sanato, così come invece accaduto in altre analoghe regioni d’Europa, il gap di sviluppo con una parte del suo territorio e segnatamente con la regione col maggior ritardo di infrastrutture e servizi accumulatosi, ovvero la Calabria, l’Italia resta dal 1861 un Paese ed una nazione profondamente disunite, a partire dalla gigantesca e insostenibile sperequazione tra Nord e Sud nella fruizione e garanzia dei diritti fondamentali alla salute, alla mobilità, alla giustizia ed alla sicurezza.
Come punte di un iceberg storico che pesa come un macigno sulla incapacità delle classi dirigenti nazionali e locali di affrontare e risolvere questioni altrove risolte in una sola generazione, lo hanno dimostrato da ultimo sia la pandemia: con una regione in zona rossa non per numero di contagi ma per insufficienza della rete sanitaria territoriale, commissariata da decenni, con ospedali chiusi, interminabili cantieri di fantomatici ospedali nuovi e ospedali da campo allestiti nei pochi ospedali aperti ma in stato comatoso; l’approvazione del Decreto Calabria da parte di un Governo e di un Parlamento che, in ossequio a logiche e dinamiche che vanno in direzione opposta all’ammodernamento complessivo del Paese, hanno di fatto cancellato tutte le richieste e le proposte avanzate per la prima volta in maniera unitaria nelle manifestazioni di tutti i sindaci calabresi a Roma; e, infine, il documento sul Revovery Plan presentato dal Governo a Bruxelles che, al netto della sonora ed imminente bocciatura ufficiale di cui ormai si parla con sberleffo nei corridoi delle istituzioni comunitarie, invece di contenere la definitiva messa in atto, attraverso le ingenti risorse europee, di un vero e proprio Piano Marshall per il Sud e per la Calabria con i più alti deficit in assoluto, rappresenta la continuazione plastica di una miopia politica nazionale incapace di capire ed ammettere che senza un Sud normale non può esserci non soltanto reale unità ma neppure reale competitività nazionale nello scenario globale.
In quella, infatti, che avrebbe dovuto rappresentare la vera uscita di sicurezza per un Paese che da circa 2 secoli si rifiuta di governare e risolvere la Questione Meridionale e, al suo interno, la Questione Calabrese mancano totalmente intenzioni, obiettivi e soluzioni per la SS106, l’alta velocità sulle dorsali tirrenica e ionica, il Porto di Gioia Tauro e il rilancio complessivo dell’entroterra quale nuova frontiera dello sviluppo eco-sostenibile di una regione che per la sua maggior parte è costituita da borghi storici e da aree interne.
Quel Recovery Plan così presentato è la certificazione del fallimento dello Stato e della Politica di questo Paese.
Ora però tocca a noi denunciarlo e decidere, adesso, senza mezzi termini, senza asfittiche logiche di partito o di movimento e senza baratti di nessun tipo, se continuare ad essere complici e clienti di questo modo distruttivo e senza visione di concepire l’azione politica, istituzionale e di governo, a tutti i livelli.
Abbiamo iniziato nei mesi scorsi un’azione di mobilitazione regionale ed unitaria a Roma che non soltanto non è stata scalfita ma che deve continuare con maggiore determinazione e convinzione da domani mattina.
Abbiamo forse perso la battaglia per un Decreto Calabria che accogliesse quanto richiesto dai sindaci calabresi. Forse, complice la gravissima inerzia o accondiscendenza di quasi tutta la rappresentanza calabrese in Parlamento, stiamo perdendo anche la battaglia importante per il Recovery Plan.
Ma non vogliamo perdere la guerra. Ecco perché non possiamo permetterci né penose distrazioni per singoli appetiti elettorali né soprattutto alcuna intermittenza nell’attenzione e nella protesta che deve ritornare a Roma, davanti alle sedi di Governo e Parlamento con un presidio permanente dei sindaci fino alla definitiva assunzione di responsabilità e di impegno dello Stato nella garanzia costituzionale, da Nord a Sud, degli stessi diritti, delle stesse prerogative e nelle stesse condizioni di crescita e sviluppo.
comunicato stampa