Un episodio molto grave, che getta responsabilità civili severe su chi in questi anni si è preoccupato dell’immagine piuttosto che della “struttura” della città.
Cosenza storica è un gioiello che perde lucentezza ogni giorno che passa, un malato che si spegne un po’ alla volta, tra incuria statica, edilizia, urbanistica, ambientale, tanto pubblica quanto privata; un brano di memoria in cui risiede tutta la storia e l’identità di questa città, che rischia di sfarinarsi alla prima tempesta, o non sia mai dovesse venire un terremoto di implodere del tutto.
Si tratta di un modello di scelte amministrative e urbanistiche che a Cosenza come altrove, ha privilegiato il nuovo al recupero dell’esistente, e le responsabilità sono tante e non certo solo dei comuni, ma anche e soprattutto dello Stato che poco ha fatto per la tutela vera di questi patrimoni. Al contrario, stato, regioni, comuni, incentivando una lunga stagione, che dura da oltre cinquant’anni, di espansione edilizia selvaggia e interrotta solo dall’ultima recente crisi economica, hanno immaginato di affidare la “crescita” di economie povere, come sono quelle del sud, al volano dell’industria edilizia, che ha riversato tonnellate di cemento ovunque fosse possibile e anche impossibile, fomentando l’abbandono dei tessuti abitativi antichi.
Una corsa sfrenata alla fuga delle città storiche che coincide con l’abbandono dei terreni agricoli, la mancanza di cura, manutenzione e attenzione che ha provocato disastri edilizi, come per Santa Lucia ieri, nonchè geologici ovunque i suoli non hanno più avuto nessuno che vi prestasse attenzione. Dentro un fenomeno tipicamente italiano che ha visto il prevalere della corsa verso un modello prevalentemente industriale su quello agricolo, turistico-culturale, in cui la crescita urbanistico-edilizia è stata la cartina di tornasole di questo errato e deludente modello.
Cosenza storica giace adagiata sulle pendici del colle Pancrazio, vista da lontano, sotto la mole del Castello, sembra la bella addormentata tra boschi e Casali, ma provando ad addentrarsi nelle sue vie principali e nelle stradine secondarie, si coglie con mano il senso di profondo disagio che ogni crollo, abbandono, fessura, lesione nel corpo vivo dei suoi edifici, rimanda drammaticamente ai nostri occhi: un degrado diffuso, statico, edilizio, estetico, una povertà sociale che alimenta sottoboschi delinquenziali, marginalità e miseria.
L’attuale amministrazione ha gettato la spugna, contro il coraggio delle precedenti che avevano rianimato la memoria della città storica, con giovani e iniziative dinamiche, e ha invece privilegiato il nuovo, perché più facile, più immediato come “fumo negli occhi” dei cosentini che si godono il salotto di Corso Mazzini e si consolano così per tutte le altre infinite delusioni: traffico folle, parcheggi selvaggi, spazzatura e degrado ad ogni angolo, anche in centro, cantieri eterni e incomprensibili, burocrazia comunale allo sbando, manutenzione di edifici pubblici e strade pari allo zero!
Sarebbe bene ricordare all’amministrazione comunale in carica, che non esistono due città, una moderna e una storica, non esistono cittadini di serie A e di serie B, esiste una sola città che va dalla cima del castello fino al confine con Rende e oltre, perciò esistono i cittadini di Cosenza, tutti senza distinzione di quartiere, centrale o periferico che sia, che meritano che chi gestisce la cosa pubblica si prenda cura di tutto, non solo del salotto, scimmiottando modelli urbanistici irraggiungibili, perché diverse sono le culture, le economie.
Come spesso accade nel nostro difficile Paese, un crollo, un disastro come a Santa Lucia, sono un segnale di allarme forte, al quale occorre rispondere con altrettanta forza: la forza per rimboccarsi le maniche, tutte le energie sane, nuove e progressiste di questa città, per ripartire dal basso, dai veri problemi, anche quelli più minuti del più estremo e periferico degli abitanti di Cosenza, e cambiare logica, cambiare passo, ripensare tutta la città, a partire dal suo pregevole cuore storico, senza il quale non vive nessuna nuova città.
Pino Scaglione*, Progetto Meridiano
(*professore di Progettazione Urbana presso l’Università di Trento)