Alluvione in Calabria, Rizzuti (geologo): «Prevenire è meglio che curare»

L’alluvione che ha colpito la Calabria negli ultimi giorni, in particolare il catanzarese, ha messo in luce le fragilità di un territorio che, alla prima pioggia autunnale e nel giro di 24 ore, si trova a dover affrontare allagamenti, auto inghiottite da fiumi di fango, torrenti esondati e paesi isolati. Per comprendere meglio questa situazione, abbiamo intervistato il geologo Eraldo Rizzuti, esperto nel campo della geologia tecnica.

Dottor Rizzuti, ci troviamo davanti a un’emergenza climatica o meteorologica?

«Quella che stiamo affrontando oggi è un’emergenza meteorologica. Per parlare di clima, infatti, è necessario fare riferimento a un periodo di tempo molto lungo, di almeno 30 anni. È corretto, invece, parlare di variazioni nei processi meteorologici, che possono essere influenzati anche da fattori umani, come il riscaldamento globale. Questo ha portato a una diminuzione dei giorni di pioggia rispetto al passato, con una maggiore concentrazione di precipitazioni intense e di breve durata. Tuttavia, questo rappresenta un problema che, a lungo andare, può influenzare il clima. Non possiamo attribuire esclusivamente al clima la responsabilità degli eventi attuali, poiché ciò significherebbe giustificare l’abbandono e l’incuria che abbiamo mostrato nei confronti del nostro territorio. Abbiamo piegato l’ambiente alle nostre esigenze, come nel caso della restrizione del letto di un torrente per costruire, il che porta inevitabilmente a conseguenze negative quando il fiume si riprende il suo spazio. In ogni caso, gli eventi odierni erano del tutto prevedibili e avrebbero potuto essere gestiti in modo decisamente migliore».

Cosa intende per prevedibile e in che modo potevano essere gestiti meglio?

«Le piogge autunnali, come l’attuale, sono quelle che provocano più danni al territorio. Dopo un’estate molto secca, il suolo non è in grado di assorbire adeguatamente l’acqua, che ruscella maggiormente in superficie. In presenza di canali inefficienti, insufficienti e non puliti, le conseguenze possono essere disastrose. Non è un caso che in Calabria i danni maggiori si siano verificati in autunno; basti pensare alla tragedia del camping Le Giare di Soverato, verificatasi la notte tra il 9 e il 10 settembre del 2000, che costò la vita a 13 persone a causa dello straripamento del torrente Beltrame. In passato, i contadini preparavano il terreno per le piogge autunnali creando solchi, migliorando l’assorbimento dell’acqua. I millimetri d’acqua che hanno allagato le nostre autostrade, sebbene significativi, non avrebbero causato allagamenti così gravi se i canali fossero stati adeguatamente mantenuti in perfetta efficienza. Una gestione migliore delle infrastrutture idriche avrebbe potuto ridurre notevolmente l’impatto di queste piogge».

A chi spetta la gestione del territorio in tal senso?

«La gestione del territorio è ripartita tra Comune, Provincia, Regione e Stato. Con una normativa europea del 2006, i piani di bacino regionale, che rispondevano bene alle esigenze locali, sono stati sostituiti da un’autorità di bacino distrettuale. In Italia ci sono cinque di queste autorità, e la nostra comprende sei regioni: Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise e parte dell’Abruzzo, con l’ufficio distrettuale situato a Caserta. Tuttavia, questa struttura appare come una macchina burocratica complessa e pesante, che spesso si rivela incapace di intervenire efficacemente e tempestivamente su frane, smottamenti e alluvioni. Tali eventi, poi, si verificano in un territorio come il nostro che è caratterizzato da elevato rischio sismico, isolamento e infrastrutture precarie».

Quali misure potrebbero ridurre al minimo i danni causati da fenomeni meteorologici come quello attuale?

«Si potrebbe iniziare riconoscendo l’importanza della pulizia e della manutenzione dei tombini. Questi elementi svolgono un ruolo cruciale nel convogliare e smaltire le acque piovane dalle strade e dalle aree urbane. Quando i tombini sono intasati e/o i canali tombati delle strade si presentano ostruiti da detriti, foglie, rifiuti o sedimenti, possono provocare allagamenti significativi e danni alle infrastrutture. Pertanto, un monitoraggio e una pulizia regolari sono fondamentali per prevenire tali eventi, ridurre il rischio di erosione del suolo e migliorare la qualità delle acque di drenaggio. Questa pratica, se programmata e attuata in modo efficace, non solo salvaguarda l’ambiente, ma protegge anche la salute pubblica e previene la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee. È necessario prestare attenzione alla manutenzione del letto dei fiumi. Il mantenimento della capacità di scorrimento dei corsi d’acqua è vitale per prevenire esondazioni, soprattutto in aree ad alto rischio come la Calabria. L’intervento tempestivo e pianificato in queste zone può contribuire a mitigare gli effetti delle precipitazioni intense. Purtroppo, al momento, gran parte delle risorse e dell’interesse è rivolto al progetto del Ponte sullo Stretto, che solleva non solo questioni di fattibilità tecnica, ma anche preoccupazioni per i danni ambientali e visivi, come sottolineato da numerosi esperti, me incluso. In assenza di infrastrutture adeguate, come la S.S.106, e con eventi meteorologici che continuano a mettere a dura prova le nostre comunità, l’interesse dovrebbe essere concentrato su iniziative che migliorino la sicurezza e la resilienza del territorio, piuttosto che su opere di grande impatto come il ponte. Investire nella manutenzione e nella protezione dell’ambiente dovrebbe essere considerato un imperativo, poiché rappresenta una salvaguardia per i cittadini, secondo un sistema logico-razionale basato su priorità concrete».
Virginia Diaco

 

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