Nei confronti di una tale richiesta di maggiore autonomia, definita da molti come la , dal momento che Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna da sole producono oltre il 50 per cento del Pil italiano, si sono elevate molte voci critiche.
Richiesta di maggiore autonomia regionale avanzata sul presupposto di ritenere nelle pieghe del bilancio dello Stato un residuo fiscale da utilizzare a favore di alcune Regioni.
Residuo fiscale che, in sostanza, è costituito dalla differenza tra l’ammontare delle risorse -sotto forma di imposte pagate dai cittadini- che lo Stato centrale riceve dai territori e l’entità della spesa pubblica che lo stesso eroga -sotto forma di servizi- a favore dei cittadini degli stessi territori. In sostanza, trattenendo sul proprio territorio regionale le entrate fiscali.
Secondo uno studio dell’Università di Napoli Federico II, le Regioni che attuerebbero il federalismo differenziato vedrebbero incrementata nella situazione ex post la quota delle risorse erogata e gestita dalle loro Amministrazioni rispetto alle situazioni ex ante (+106 miliardi per la Lombardia, +41 miliardi per il Veneto e +43 miliardi per l’Emilia-Romagna), mentre si assisterebbe ad una diminuzione di pari importo delle risorse gestite direttamente dall’Amministrazione Centrale.
Lo Stato deve, viceversa, impiegare i residui fiscali per garantire i servizi nelle Regioni deficitarie ai livelli essenziali delle Regioni più efficienti e non per rafforzare quelli delle Regioni più ricche, per principio solidaristico secondo quanto previsto dall’art. 120, secondo comma, della Costituzione, che garantisce il mantenimento della , attribuendo al Governo nazionale il potere di sostituirsi alle Regioni e agli Enti locali in caso di mancato rispetto.
Il tempo particolarmente difficile che stiamo vivendo per l’emergenza sanitaria da coronavirus, i già tanti morti, la preoccupazione per i familiari contagiati, la paura della diffusione del virus, le restrizioni alle nostre libertà, il rischio di recessione economica e l’ansia per un futuro incerto inducono ad alcune riflessioni.
Da molte voci è stata già chiesta, e prenotata nell’agenda delle cose da discutere, la revisione del nostro sistema sanitario, che da modello universalistico apprezzato si è trasformato in , col dirottamento altresì di rilevanti fondi alla sanità privata, sostituendo alla persona, alla tutela della salute e alle cure del malato, il profitto. Lo si deve ai tanti operatori sanitari che hanno gettato il cuore oltre ogni ostacolo,perdendo anche la vita, ai morti tutti, a chi non ha potuto avere le necessarie cure, a quei familiari che non hanno nemmeno potuto essere vicini ai loro cari andati via in solitudine.
Un’altra riflessione che la tragedia dell’oggi induce, sospinta per il maggior tempo concessoci dal fermo coatto della nostra vita, ed in vero già sollevata dalle più vive sensibilità, è quella di chiedersi all’indomani della fine di quanto sta accadendo, quale sia il vero senso della vita, cosa conti veramente, se continuare nella corsa frenetica che ha caratterizzato il nostro essere verso inarrestabili pretese, o se meritiamo altro e di più.
A ciascuno, ovviamente, spetta la libertà di scelta, se restare avvinti ed affascinati dal nostro modo di essere attuale e moderno, oppure rimodulare la propria vita su una dimensione diversa.
Ma un’ulteriore riflessione che l’attuale condizione induce, oltre quelle già segnalate da autorevoli commentatori, è il domandarsi cosa sarebbe successo di peggio se le regioni, tanto più quelle del nord particolarmente colpite dal contagio del covid-19, fossero state già in regime di autonomia differenziata, soprattutto se spinta, come quella pretesa da Lombardia e Veneto.
Lombardia e Veneto sono state le prime tra le regioni che, per l’emergenza sanitaria da coronavirus, hanno chiesto aiuto al Governo Nazionale, pur se la gestione della sanità è di competenza delle regioni.
Quelle stesse regioni, che rivendicano una maggiore autonomia, sospinta da una malcelata autoreferenzialità e da un sotteso sentimento egoistico, come avrebbero oggi potuto impegnare forze dell’ordine e militari per controllare il rispetto dei provvedimenti restrittivi sui propri territori, pena il diffondersi del virus.
Come avrebbero potuto avere aiuti da Paesi stranieri, se le richieste e le disponibilità offerte non fossero provenute dallo Stato Italiano e in favore di esso. Così per le numerosi assunzioni straordinarie di personale sanitario effettuate dalla Protezione civile Nazionale. Gli ospedali da campo allestiti e il materiale sanitario fornito alle stesse regioni.
Non ultimo, i fondi messi a disposizione dal Governo Nazionale per sostenere imprese e famiglie, finanziamenti oggi tanto invocati, soprattutto dalle stesse regioni del nord.
Quale regione del nord, nella sua più ampia pretesa autonomia, avrebbe oggi al tempo del coronavirus potuto sopportare da sola il peso di ciò che sta accadendo, il costo di tali interventi e garantire i propri cittadini, se non fosse intervenuto lo Stato.
Lo stesso Stato da cui si rivendica maggiore autonomia, anche fiscale e finanziaria, e che oggi ha esercitato prerogative statuali e disposto risorse umane ed economiche in favore anche delle regioni del nord, proprio in virtù di quel e di quella dello Stato, che si vorrebbe negare e frantumare all’altare della propria autonomia regionale.
Ciò che sta accadendo dovrebbe indurre ad una seria riflessione sull’importanza di essere comunità e di sentirsi parte della stessa identità Statale, abbandonando ogni tentazione egoistica, tenendo sempre in debito conto il valore dell’unità del Paese, come fondata su principio solidaristico, perché anche ove le proprie risorse consentano di sentirsi forti ed autosufficienti in tempo di vacche grasse, la realtà dell’oggi ha dimostrato che basta un per precipitare ed avere bisogno dell’altro per sopravvivere.
Giuseppe Tagliaferro segretario Pd Circolo Area Rossano