LE ACCUSE Secondo il capo d’imputazione, F.R., che rivestiva il ruolo di vertice nell’impresa, dopo l’apertura del fallimento avrebbe ceduto tutti i suoi beni provvedendo ad occultare gli ingenti guadagni e facendo in modo che i creditori non trovassero beni su cui soddisfare le proprie pretese. Nel momento in cui era intervenuta la Guardia di Finanza, in effetti, i conti dell’imprenditore risultavano essere tutti chiusi, nonostante avesse incassato i pagamenti derivanti dalla vendita di svariati appartamenti nel comune di La Spezia, titoli azionari e di credito; nessun bene aziendale, inoltre, risultava presente nella sede. Ad aggravare il tutto, la circostanza che l’uomo avesse distrutto parte delle scritture contabili cui sono tenuti gli imprenditori.
L’ITER PROCESSUALE Nel corso del processo di primo grado erano stati sentiti tutti i creditori di F.R., i commercialisti interessati e il curatore fallimentare, i quali avevano riferito circa la condotta dell’imputato tesa a disperdere i propri beni non onorando, in tal modo, i debiti. La sentenza di primo grado, nel condannare l’imputato, aveva applicato allo stesso l’interdizione dai pubblici uffici e, visti i precedenti penali di cui risultava essere gravato, gli aveva finanche negato la concessione delle attenuanti generiche.
Assunta la difesa dell’imprenditore, l’Avv. Raffaele Meles ha proposto appello sostenendo l’ingiustizia della sentenza di condanna e la non attenta valutazione, da parte del giudice di prime cure, di molti elementi tra cui l’assenza di dolo dell’imputato: non vi era la prova che le somme ed i beni distratti fossero riconducibili al disegno criminoso di frodare i creditori. La Corte D’Appello di Catanzaro, in accoglimento delle istanze difensive, ha prosciolto l’imputato, annullando la sentenza di primo grado.
(comunicato stampa)