L’analisi della crisi occupazionale legata alla centrale Enel è una questione che colpisce il tessuto sociale e lavorativo di un intero territorio. Ciò che emerge dagli incontri recenti è un quadro che non lascia spazio a dubbi: l’attività nella centrale è ormai ridotta all’osso, limitandosi a operazioni di dismissione, bonifica e alcune mansioni residuali come vigilanza e portierato. Gli occupati si attestano attorno a 50-60 unità, una stima che, se errata, pende più verso il difetto che l’eccesso. Secondo quanto emerso durante l’ultimo incontro al Comune, il cronoprogramma della bonifica e delle dismissioni prevede il completamento delle operazioni entro la metà del 2026. Questo significa che per circa 50 famiglie il futuro è già tracciato: la maggior parte degli attuali lavoratori resterà senza impiego una volta concluse queste attività. Tra loro, solo una minima parte – operai specializzati – potrà seguire l’azienda in altri siti o progetti. Il resto della forza lavoro locale, fatta per il 90% da residenti, rischia di essere abbandonata a se stessa. Nonostante i protocolli siglati anni fa per la riqualificazione professionale, appare chiaro che tali misure non hanno portato risultati concreti o sufficienti. Attualmente, la centrale è in uno stato di quasi totale inattività. Le uniche strutture rimaste di proprietà Enel, come i vecchi turbogas, sono classificati come siti di interesse nazionale e restano operativi solo per emergenze. Tuttavia, l’attività in questi impianti è sporadica e non rappresenta una prospettiva stabile per il lavoro. Nel frattempo, le operazioni di demolizione proseguono a rilento. Le ciminiere – simbolo della centrale – sono al centro di un lungo processo di abbattimento top-down. Questo metodo, adottato per ragioni di sicurezza, prevede lo smantellamento dall’alto verso il basso attraverso una macchina specializzata. Tale approccio, pur garantendo la tutela delle strutture circostanti, richiede tempi dilatati rispetto ad altre soluzioni, come l’uso di esplosivi adottato in altri siti italiani. La caratterizzazione del suolo e la gestione dei materiali pericolosi, come l’amianto, rappresentano un aspetto importante delle operazioni. Enel ha assicurato che le lavorazioni sono svolte in conformità alle normative, garantendo massima attenzione alla sicurezza e alla tutela ambientale. Tuttavia, tali rassicurazioni non bastano a dissolvere il “grande punto interrogativo” che grava sul futuro del sito e dei suoi lavoratori.
Un futuro ancora incerto
Il vero nodo da sciogliere è legato al destino delle circa 40 persone che, escluse da piani di pensionamento o ricollocazione, rischiano di trovarsi senza lavoro entro tre anni. Questo tema richiede un impegno concreto da parte di tutte le istituzioni coinvolte per evitare che l’area subisca un ulteriore impoverimento economico e sociale. La questione Enel, dunque, non è solo un problema aziendale, ma una sfida per l’intero territorio. La necessità di soluzioni efficaci e tempestive è evidente: occorre un piano che offra prospettive reali a chi rischia di restare indietro, garantendo al contempo una transizione sostenibile e inclusiva per l’intera comunità. Andrea Ferrone, della segreteria comprensoriale della CGIL, ha delineato un quadro allarmante sulla situazione della centrale Enel e sul futuro del territorio. Durante il suo intervento ha toccato punti nevralgici che spaziano dalle responsabilità istituzionali alle prospettive per il sito, passando per le criticità occupazionali. Secondo quanto riportato, l’amministrazione comunale punta a riacquisire l’area demaniale del lungomare, con l’ipotesi di mantenere lo scheletro della sala macchine per un possibile riutilizzo futuro. Tuttavia, «quella dell’Enel, purtroppo, è la scelta scellerata di non aver proceduto con i fondi del PNRR per sviluppare il progetto sull’idrogeno», ha affermato Ferrone. Un progetto che rappresentava una concreta opportunità di riqualificazione e che era stato frutto di anni di lavoro congiunto tra istituzioni, sindacati e l’azienda. Ferrone ha sottolineato come il mancato investimento sull’idrogeno, deciso circa un anno e mezzo fa, abbia segnato un colpo fatale per il futuro del sito: «Questo è il vero problema, perché ha decretato che non c’è più futuro lì». La situazione attuale è caratterizzata da uno stallo preoccupante, con il rischio di un ulteriore aumento della disoccupazione in un territorio già segnato dalla mancanza di lavoro. Ferrone ha aggiunto: «Ad oggi siamo a un anno e mezzo dal completo deserto».
L’appello al governo e alle istituzioni locali
Di fronte a questa situazione di immobilismo, Ferrone ha lanciato un appello diretto: «Lo rivolgo sicuramente al governo nazionale, perché la scelta del mancato investimento sull’idrogeno è stata dell’amministratore delegato in un piano di tagli al budget nazionale. Lo rivolgo all’istituzione locale, al Presidente della Regione, perché lui può fare da intermediario rispetto al governo nazionale e all’amministrazione comunale per quel poco che ha di possibilità in tal senso». Sul progetto dell’idrogeno, Ferrone è netto: «Credo che sia un capitolo chiuso, se non ci sarà un forte intervento politico che porti Enel a rivedere le sue scelte». Anche le ipotesi alternative, come l’utilizzo del sito per uno stoccaggio di dati da parte di fondi americani, sono state scartate. Ferrone ha concluso il suo intervento evidenziando la necessità di un tavolo serio di confronto a livello nazionale: «O ci si siede seriamente a un tavolo per capire se e cosa si può fare, oppure resteremo in questo immobilismo, senza progetti concreti per il futuro del sito e del territorio».