Che Gemma di libro! Bebelplatz, l’indagine di Fabio Stassi sulla cecità della guerra e il ruolo della cultura

Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!

SOPRAVVIVE, LA LETTERATURA, AGLI STESSI NEMICI DI SEMPRE

Il 10 maggio 1933, a Bebelplatz nel centro di Berlino, allo scoccare della mezzanotte, migliaia di testi vengono bruciati. È presente un’azienda pirotecnica per garantire il fuoco in ogni evenienza. Giungono camion colmi di libri, una catena umana li getta nelle pire. Le fiamme arrivano a dodici metri di altezza. Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, proclama: «L’uomo tedesco del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo di carattere». A Monaco, in Königplatz, centinaia di braccia sollevate nel gesto del saluto romano, sono riunite intorno a un falò. La voce dei banditori annuncia il titolo di ogni opera, prima di gettarla nel fuoco, quarantamila persone acclamano in coro. «Il rituale del fuoco ha la forza di un esorcismo collettivo». Nella notte gli studenti di 34 città universitarie della Germania danno alle fiamme oltre 25000 libri di svariati autori, tra cui A. Einstein, S. Freud, E. Hemingway, S. Zweig, B. Brecht, E. M. Remarque, K. Marx, T. Mann, F. Kafka, J. London, J. Roth, A. Schnitzler. A Francoforte è lo stesso rettore dell’Università a dirigere le operazioni. «I roghi sarebbero continuati per tutto il 1933, e anche negli anni a seguire: si calcola che alla fine della guerra a essere bruciati siano stati centinaia di migliaia di libri, ma, come per il numero dei morti, è un conteggio approssimativo».

Il 24 febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina e, dopo qualche mese, si riattizza il mai sopito conflitto arabo-israeliano, che sta devastando la striscia di Gaza. Il Passato è nel Presente, con la guerra e la censura. E la minaccia, in ogni luogo e in ogni epoca, di soffocare il pensiero critico e controllare le masse. «Adesso come allora, le fiamme sono appiccate per ignoranza, noncuranza, avidità, ambizione, errore e, soprattutto, per paura».

Può esistere una sola arte “autentica” e non “degenerata” nell’ambito di un totalitarismo (palese o mascherato): in tutti i campi, dalla Musica alla Pittura, dall’Architettura alla Letteratura, si separano sempre i “buoni” dai “cattivi”, gli idonei dai guasti e dai pervertiti.

Ce lo ricorda, in maniera incisiva, Fabio Stassi nel suo “Bebelplatz” (Sellerio, ottobre 2024). Durante un tour negli istituti di cultura italiani di Amburgo, Colonia, Stoccarda e Monaco, attraversa le piazze delle Bücherverbrennungen, i roghi di libri, e ripercorre a ritmo incalzante alcuni dei giorni più tristi o partigiani della Storia (Amburgo distrutta per ¾ dalla RAF nell’estate del ’43 simile a Kharkiv Matiupol’ Kherson e Gaza; lo spartiacque irreversibile di Hiroshima e Nagasaki; il genocidio dei nativi americani e quello degli Armeni; Guernica; la Tratta degli schiavi; le Convenzioni contro la guerra; la Zurigo città degli esuli). Studia mappe e resoconti, si interroga sul ruolo della cultura e della Letteratura e sulla cecità della guerra, indaga l’istinto di sopraffazione degli esseri umani.

Alla fine compone un piccolo atlante della Letteratura «dannosa e indesiderata» e rintraccia cinque scrittori italiani destinati alle fiamme dai nazisti (non esclude che altri autori italiani siano “stati bruciati”): Pietro Aretino, il cantore della libertà rinascimentale; Giuseppe Antonio Borgese, cittadino del mondo e inguaribile utopista; Emilio Salgari, anticolonialista e antimperialista amato in Sudamerica; Ignazio Silone, antifascista radicale; Maria Volpi, in arte Mura, disinibita narratrice del piacere. Nessun nome tra i più noti che riempiono i manuali di letteratura italiana o tra gli autori di origine ebraica.

Ma l’Aretino, indicato da Ariosto come il “flagello dei principi”, fama di impenitente lussurioso e uomo ambizioso, amante della buona tavola e della compagnia allegra; figlio di una cortigiana e di un ciabattino, condannato dalla Chiesa alla damnatio memoriae. I “Ragionamenti”, le “Commedie” e i “Sonetti lussuriosi”, all’inizio del Novecento, erano ancora molto letti e tradotti in tedesco: «A distanza di quattro secoli, il suo elogio del sesso continuava a fare paura e a dare scandalo agli occhi dei perbenisti con la svastica sul braccio ossessionati dalla purezza […] Insieme a lui, viene messa al bando qualsiasi vocazione libertaria e libertina, l’idea stessa della libertà». Del resto, leggenda vuole che nel 1556 Aretino muoia a Venezia soffocato dalle sue stesse risa e «chi è capace di ridere è pericoloso perché può prendersi gioco di tutto».

E Borgese, che rifiuta più volte di prestare il giuramento fascista e viene dimissionato ed “esiliato” ma non si affligge, perché per lui «ogni disperazione è fascista”. Lascia questo epitaffio: «Aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto o malvagio».

E Salgari, che, attraverso una geografia trasfigurata, sublima una vita mediocre e le occasioni perdute, dissimula l’intenzione di parlare sempre dell’Italia. Colui che, per Che Guevara e Galeano, Sepúlveda e Neruda, García Marquez e Vargas Llosa, rappresenta la “rabia” contro ogni ingiustizia e l’ordine omicida del mondo.

E il marsicano Silone di “Fontamara”, tra i primi a teorizzare il “fascismo rosso”, un membro dell’Assemblea Costituente tanto coraggioso da ragionare con la propria testa.

E Maria Volpi, che è tutto normale se non l’avete mai sentita nominare ma pare che prima di Liala sia stata la più famosa scrittrice italiana di romanzi rosa, in cui demolisce il vincolo sacro del matrimonio e istiga all’adulterio. Fino allo scandalo di “Sambadu, amore negro”, storia d’amore tra una giovane bianca e ricca vedova italiana e un ingegnere proveniente da un villaggio del Senegal (Mussolini: «È inammissibile da parte di una nazione che si avvia a creare in Africa un impero»). L’amore tra Silvia e Sambadu in teoria “offende la dignità di razza”, in pratica le camicie nere devono “recuperare” sulla censura nazista e non possono accettare, in un regime fondato sul patriarcato e su una continua e imbarazzante esibizione fallocratica, l’indipendenza femminile. Silvia sfida tre volte le convenzioni: prima sposando un uomo di colore, poi restandone incinta e infine frantumando il matrimonio. Tiene il timone della sua vita saldamente nelle proprie mani e non concede a nessuno la possibilità di decidere al suo posto: né al marito, né al figlio, né allo Stato.

Quello di Stassi è un appassionato discorso in difesa di tutto ciò che trasgredisce la norma, un viaggio ricco di corrispondenze, colpi di scena e nuove interpretazioni, da Ovidio a Cervantes, da Arendt a Canetti, Sebald, Morante, Bernhard, Bradbury: un invito a disseppellire la biblioteca di Don Chisciotte. Perché la ribellione si impara leggendo e ogni lettore, per qualsiasi potere, «è sempre una minaccia».

Il volume (312 pagine), diviso in 5 parti, è corredato nella parte finale da un’Appendice (breve storia degli olocausti di libri e dell’oscurantismo) e tante Note, ma soprattutto dall’introduzione di Alberto Manguel. Lo scrittore e bibliotecario argentino riflette su come, tradizionalmente e a dispetto di ogni prova contraria, i libri siano ritenuti rimedio e baluardo contro la violenza. Così la pensava persino la tribù germanica degli Eruli che, nel 267, si augura che i Greci continuino a studiare così da non potersi dedicare all’esercizio delle armi. Ma i libri non placano la sete umana di fiamme e sangue. Chi è più forte, Marte o Minerva? Questione irrisolta. Che mondo sarebbe se tutti i politici fossero come il donchisciottiano Duca, governatore dell’isola di Barataria, “per metà uomo di lettere, per metà capitano militare”, e riconoscessero quali compiti imprescindibili il dover agire responsabilmente (senza usare la violenza) e la necessità di leggere libri (senza trascurare la vita pratica)? Domanda inevasa.

Il rogo per antonomasia è oggi ricordato in Bebelplatz da un’opera dell’artista israeliano Micha Ullman, “The Empty Library”: un oblò quadrato, inserito sulla superficie della strada, che lascia intravedere una camera piena di scaffali vuoti e silenziosi. Catacomba inaccessibile. Accanto è posta una targa con una citazione di Heinrich Heine: «Quando i libri vengono bruciati, alla fine verranno bruciate anche le persone». «Si tratta di un atto forte e simbolico – un atto che dovrebbe informare il mondo intero sulle nostre intenzioni» aveva annunciato Goebbles. Un avvertimento, sono i roghi, non un’azione di propaganda occasionale, la bravata di una notte. Questo dico spesso a tutti i miei alunni, e ogni volta rabbrividisco.

Leggiamo, le voci che nei secoli han tentato di zittire e molte altre, perché Primo Levi ci ha messo in guardia: se qualcosa è avvenuto, può avvenire di nuovo, e su scala smisurata.

Gemma

 

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ di domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

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