Che Gemma di libro! Il Nobel assegnato a Han Kang mentre leggevo proprio “La vegetariana”

UN NOBEL MERITATO

Il 10 ottobre, dopo pranzo, mentre con una mano tenevo aperto il libro “La vegetariana” a pagina 57, con l’altra leggevo sul telefono che il Premio Nobel per la Letteratura era stato assegnato ad Han Kang “per la sua intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana”. Esterrefatta, perché assente da ogni pronostico, ho mosso la testa, per un po’ di volte, da sinistra a destra. “Sto sul pezzo”, ho esclamato ad alta voce, “e condivido!”.

Tra i candidati “sconosciuti”, di cui si erano fatti i nomi nei giorni precedenti, la cinese Can Xue, l’australiano G. Murnane e l’aborigena A. Wright; tra i famosi S. Rushdie, M. Houellebecq, M. Atwood. M. Cartarescu e H. Murakami, considerato tra i favoriti da diversi anni.

A dirla tutta, il fatto che stessi leggendo “La vegetariana”, vincitore nel 2016 del Man Booker International Prize “per la sua sbalorditiva miscela di orrore e bellezza”, è dovuto al Caso (o al Caos?): me lo aveva consigliato un collega di filosofia, in sala insegnanti, mentre ci confrontavamo su Franchini. Ma a novembre scorso avevo già recensito “L’ora di greco” (Adelphi, 2023) e diverse persone mi hanno poi riferito di averlo acquistato e apprezzato.

I temi trattati dalla cinquantatreenne scrittrice sudcoreana sono complessi, incentrati sull’eredità della violenza, la memoria storica, la corporeità e l’alienazione. Nei suoi testi, la condizione umana è scandagliata in modo viscerale e spesso inquietante; le dinamiche del potere, i traumi collettivi e individuali e il rapporto con la natura sono indagati in profondità. In “Atti umani” (Adelphi, 2014; premio Malaparte 2017), ad esempio, la Han affronta uno dei capitoli più tragici della Storia del suo Paese, l’eccidio di Gwangju del 1980 in cui centinaia di manifestanti pro-democrazia furono uccisi dall’esercito, ed esplora le conseguenze di quella ferita comune attraverso la rievocazione dei singoli che ne furono colpiti.

“Disturbante”, da chiunque stia cercando di metabolizzarlo, è definito “La vegetariana”. Il romanzo, che ha portato la Han alla ribalta mondiale, è l’espansione di un racconto breve di vent’anni prima,“Il frutto della mia donna”, in cui una giovane diventa letteralmente pianta; il marito la trova così, la mette in un vaso e se ne occupa amorevolmente. La annaffia tutti i giorni, ma in autunno si secca e a lui non resta che domandarsi se fiorirà di nuovo in primavera. L’autrice ha raccontato che sentiva una sensazione di incompiutezza rispetto all’immagine che avrebbe voluto sviluppare e di come, per definirla, abbia dovuto attendere l’ispirazione.

«Ho fatto un sogno» ripete Yeong-hye nelle poche righe in cui possiamo “ascoltare” la sua voce. “Il treno ha fischiato” ripete il ragionier Belluca nell’omonima novella di Pirandello. Un rumore lontano nella notte e un incubo nei boschi, tra carcasse di animali e odore di sangue, affrancano dal torpore il desiderio di autodeterminazione dei protagonisti. Mentre gli altri, personaggi e lettori conformi, li credono impazziti.

Al risveglio, metaforico e temporale, la non più docile e remissiva Yeong-hye sceglie di non mangiare più carne, di smettere di toccarla, di cucinarla. Esterna la ribellione (al patriarcato) e il dolore che le provocano le domande che si pone sulla natura dell’animo umano anche togliendosi i vestiti, liberandosi dalla costrizione del reggiseno. Queste decisioni, all’apparenza semplici, innescano una catena di eventi che sconvolge la vita di coloro che la circondano. Mutano, inevitabilmente, le relazioni con la sua famiglia, col marito, con un padre violento veterano della guerra del Vietnam, con le convenzioni che regolano il suo mondo. I comportamenti di Yeong-hye suscitano vergogna, quel fastidio che accompagna ogni manifestazione di diversità. La resistenza passiva in un universo che sembra soffocarla, l’irreversibile e ossimorico processo di “disintegrazione” e affermazione, la indeboliscono, la portano a limiti estremi, Ma la sua non è una resa. La debolezza fisica è dignitosa, perché coerente, la forza d’animo incrollabile.

La Han punta i riflettori sulla vita quotidiana e le relazioni interpersonali che possono diventare opprimenti, tanto da spingere qualcuno a cercare una forma di liberazione persino attraverso l’auto-annullamento psico-carnale. Ci riesce, a trattare questi argomenti Universali, con eleganza intensità e uno stile lirico e ipnotico, a tratti minimalista ma oltremodo emotivo, che suscitano disagio e meraviglia, turbamento e incanto.

La narrazione, ne “La vegetariana”, è condotta in tre parti, in prima persona dal marito e in terza dal cognato e dalla sorella,.personaggi complessi che non possono o non vogliono capire di più. Il coniuge, prima del vegetarianismo e del divorzio, la definiva “insignificante” ma idonea a non “turbare la mia esistenza scrupolosamente ordinata”. Il cognato, artista “bloccato”, approfitterà di lei e della sua macchia mongolica. La sorella è l’unico segnale di speranza, la sola custode di sentimenti che, alla fine, si scoprono esserci.

Nella storia restano spazi vuoti (quelli tra le costole, moltissimi silenzi, interminabili ore di insonnia), non detti che il lettore può riempire, anche a costo di malintesi. Lecito sarà dubitare, ancora una volta, del confine netto fra sanità e squilibrio mentale.

«Non sono più un animale. Non ho bisogno di mangiare, non più. Posso vivere senza. Ho bisogno soltanto del sole». La trasformazione in vegetale di Yeong-hye parrebbe rimandare al panismo dannunziano, alla naturalizzazione di Eleonora/Ermione nel famoso pineto, ma la rappresentazione aderisce piuttosto al Vitangelo Moscarda del succitato Nobel siciliano, che si rifugia in un ospizio lontano dalla città e dalla civiltà e a contatto con la natura.

La Han è una Letterata pura, con una triade inequivocabile: “Libertà, Identità, Resistenza!”. Non ci rimane che comprare “Non dico addio” (Adelphi), in uscita il 5 novembre. Gyeong-ha compie un viaggio d’inverno verso l’isola di Jeju, per dare da bere al pappagallino di un’amica ricoverata in ospedale. Attraversa una terribile tempesta di neve e un sentiero buio e simbolico; si perde, cade e si ferisce. Si rialza e prosegue, ma potrà solo seppellire il pappagallo. Poco dopo, però, lo vedrà comparire svolazzante insieme all’amica inferma. Compiranno una (atavica e sempiterna) discesa agli inferi, nella storia (personale) della famiglia di Inseon e (locale) del massacro di Jeju, perpetrato dall’esercito sudcoreano, tra la fine del 1948 e i primi mesi del 1949, ai danni di trentamila civili accusati di essere comunisti.

Gemma

In foto il libro poggiato sull’orso della piazzetta principale dell’incantevole Villalago (AQ).

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ di domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

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