Una rubrica sui libri. Perché? In questo nostro tempo veloce e senza pause, rallentare è l’unica azione possibile per riappropriarci della nostra anima. E lo facciamo con Gemma, docente e grande appassionata di libri di Corigliano-Rossano, che ci aiuta con le sue letture a sgretolare qualche luogo comune del mondo culturale, raccontando in poche parole, ogni domenica, che cosa meriti almeno un’occhiata in libreria. Non perdiamoci i suoi consigli!
“Il guaio di non avere figli è che passi direttamente da una lunghissima adolescenza alla vecchiaia, senza vivere la fase adulta”. La si può condividere o meno, ma questa è l’idea che ha ispirato ad Alessandro Piperno il suo ultimo romanzo, “Aria di famiglia”, uscito dieci giorni fa per Mondadori. Lo ha dichiarato nella puntata di “Fahreneit” (Rai Radio 3) del primo maggio, ammettendo altresì che il protagonista, Alessandro Sacerdoti, è il suo alter ego: entrambi sono cinquantaduenni romani, laureati in Letteratura francese, docenti e ricercatori universitari, saggisti e scrittori, collaboratori del “Corriere della Sera”, collezionisti di riconoscimenti (Piperno ha vinto prima il Viareggio e il Campiello e poi lo Strega nel 2012), misantropi ed edonisti, padri mancati convinti.
Il professor Sacerdoti, uomo solo e amareggiato, attraversa già un momento difficile quando viene a sapere della morte di Veronica Gentileschi, compagna di banco del liceo con cui aveva avuto una breve storia e che aveva sempre ammirato per l’intelligenza anticonformista e il coraggio con cui si era emancipata dalla tirannia paterna. «Quindi a cinquant’anni si può morire così, mentre l’adolescenza sembra ancora dietro l’angolo?». Partecipa, dopo il funerale nella chiesa degli Artisti, a una rimpatriata tra compagni, non i vecchi decrepiti Guermantes di Proust ma uomini di mezza età del XXI secolo: «Mi chiesi se per caso non fossi io – l’impostore per antonomasia – a non aver sincronizzato l’orologio interiore con questo nuovo tempo della nostra vita». Scopre di essere l’unico a non essersi riprodotto e comincia a dar credito al diffuso sospetto che i figli, da una certa età in poi, servano soprattutto a tenere desta l’illusione che l’esistenza abbia un senso.
Ritrova Valentina Bisnaghi, l’adolescente che gli aveva regalato “Meno di zero” di Bret Easton Ellis fumava e imprecava come un allenatore di calcio e ora è una penalista di grido (che gli servirà).
Il lutto sconvolge Sacerdoti e lo fa sprofondare ancora di più nella malinconia: «E dire che per anni la vita che avevo scelto mi era sembrata piacevole e adeguata alle mie esigenze. Orripilato dalla prova offerta dalla mia famiglia (madre morta, padre in galera, tutore eccentrico, ndr), convinto che fantasia, introspezione e qualche lusso qua e là avrebbero potuto fornirmi ciò di cui avevo bisogno per essere felice, avevo interrotto sul nascere ogni relazione che potesse degenerare in un ménage borghese».
La sua musa, vittima dell’ostinato disimpegno affettivo, versa in uno stato di prostrazione, perde interesse per l’insegnamento e ha la nausea di scrivere: «D’un tratto ero prosciugato, afono, privo di stimoli come un performer a fine carriera»; «Possibile che solo ora mi accorgessi di quali danni collaterali comporti spogliare anzitempo la propria vita da ogni pathos romantico?».
È solo l’inizio del baratro. Piperno è attratto dal romanzesco, adora gli intrecci in cui succedono continuamente cose, improbabili nella realtà ma funzionali alla narrazione: «Mi sono divertito in questo libro a far precipitare le azioni in una serie di piccoli detours, che nella quotidianità non avrebbero alcun senso ma che per me invece sono il sale della narrativa ben fatta».
Su Sacerdoti si abbatte una vera e propria “shitstorm” kafkiana: convocato dalla famigerata commissione paritetica dell’università, è accusato di sessismo dall’agguerritissima collega ultra femminista Teresa Ghinassi, paladina di una delegazione di studentesse che non ha gradito la condivisione di alcune lettere misogine di Flaubert. Il professore rifiuta, per partito preso, l’abiura: «Se non mi fossi crogiolato nell’idea di meritare una punizione così severa, avrei reagito. Se davvero avessi creduto che il fortino andava protetto, non lo avrei lasciato così sguarnito, in balia dei nemici». Dopo il mazzo che si è fatto per affermarsi («Non potendo contare sulle mie forze, avevo affidato agli altri il compito di definirmi, avevo messo la mia reputazione nelle mani di quella madre collettiva, volubile e gigantesca chiamata “Pubblico”»), viene inoltre accusato di femminicidio verbale (registrato, di nascosto, in un momento d’ira) e sogna di infliggere alla Ghinassi «lo stesso trattamento che Raskol’nikov aveva riservato alla vecchia usuraia». Sospeso, deve sgomberare lo studio dell’ateneo e lo trova occupato dal vecchio Maestro, Carlo Charcot, che prima gli aveva insegnato a “leggere le poesie col naso” e poi lo aveva ripudiato.
Reietto, per un paio di missive di Flaubert e una frase sopra le righe, e allontanato da tutti, a pagina 162, quando un testo potrebbe pure terminare, il futuro inaspettato e il topos dickensiano del burbero e il bambino bussano alla porta di Sacerdoti: il Tribunale dei Minori gli affida la tutela di Noah Meisner, nipote di otto anni i cui genitori sono morti in montagna. Non lo conosce, ha più di qualche perplessità, ma poi, forse perché in lui rivede l’orfano che è stato, forse per sfuggire a una vecchiaia precoce e ripugnante, forse perché calamitato dal turning point dei romanzi ottocenteschi su cui si è formato, forse per essere “pronto” almeno una volta da quando è nato, il narratore in prima persona accetta di stravolgere il proprio modus vivendi per accoglierlo. E con lui trascorrerà i quattro anni successivi. Il protegé, poco a poco, lo conquista e lo cambia dentro; nel suo sguardo scopre l’aria di famiglia del titolo: «Per una volta della crudeltà dei dittatori, dell’arroganza degli Stati canaglia, della febbrile corsa agli armamenti non me ne importava un fico secco, per non dire delle concussioni, del dissesto idrogeologico e del degrado della sanità pubblica, avevo a cuore solo il bambino che armeggiava con le sue cose in quella che non sarebbe più stata la stanza degli ospiti». Sacerdoti sfida l’inadeguatezza, accetta “faustianamente” di scrivere sceneggiature aberranti e intervenire come opinionista in trasmissioni sportive per guadagnare, s’impegna in un accurato ripulisti della biblioteca personale e delle persone da frequentare. Un giorno il piccolo sparisce da scuola, sarà ritrovato a Milano, necessitava di vedere con i propri occhi che i genitori non erano più nell’ultima casa che avevano abitato. E un altro giorno il ricchissimo e demente nonno di Noah muore e Sacerdoti sceglie di rinunciare alla battaglia legale per l’eredità. accampando come scusa che sia il male minore per il bambino. La verità, ormai l’avremo capito che è un passivo aggressivo, è che lui non ha il coraggio di affrontarla.
Ho concluso la trama? Neanche per sogno. Vi restano ancora da scoprire svariate peripezie, il baudelairiano capitolo “Amabili rimorsi”, la svolta nella vocazione letteraria (“La vita o la vivi o la scrivi”, Pirandello) e la fine pascoliana.
Mi sono dilungata sulla sostanza, perché sulla forma poco ho da dire. Piperno, tra l’altro direttore dell’encomiabile collana “I Meridiani”, maneggia le parole come un mago. È il primo suo libro che leggo, ricordo che da poco mi sono “convertita” alla contemporaneità, e non vi ho riscontrato la mancanza di scorrevolezza, l’ampollosità e la lentezza per cui viene da qualcuno additato. Vero è che la scrittura è ricercata, colma di riferimenti e citazioni, ma ammaliano, divertono o commuovono invece di scoraggiare!
L’autore, che è uscito con i figli degli amici per “impratichirsi”, segue il suo protagonista con ironia e irriverenza, ma anche con grande tenerezza, tratteggiando i chiaroscuri della mezza età e ribadendo che poco è come sembra.
Sfrutto, infine, una citazione del volume proposto per dare il “Riposi in pace” a uno degli ultimi titani della letteratura contemporanea, un grande inventore di miti scomparso a 77 anni il 30 aprile scorso: «Ora che stavo ritrovando un po’ di lucidità, mi sentivo di escludere che il corpo di un uomo maturo potesse trovare un posto nell’immaginario erotico di una ragazzina. Sono cose che capitano solo nei romanzi di Paul Auster o nei film di Woody Allen, non nella vita di un signore attempato in bolletta emotiva».
Gemma
Che Gemma di libro! ~ ogni domenica su I&CGemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli. |
Una risposta
Sono curiosa di scoprire se è ampolloso come taluni affermano o intigrante come suggerisce Gemma…