Che Gemma di libro! L’ultima uscita di Rosella Postorino tra solitudine e frammentazione

“SOLO NELLA SCRITTURA HO CONCESSO ALLA VERITÀ DI RESPIRARE”

“Sono molti i libri che ho scritto, ma non ne ho scritti di così sfolgoranti come il suo”. Con queste parole, e molte altre, lo psichiatra e scrittore prolifico Eugenio Borgna ha recensito, il 7 settembre scorso sul Corsera, l’ultima fatica editoriale della calabrese Rosella Postorino, “Nei nervi e nel cuore. Memoriale per il presente” (Solferino). Il titolo è ripreso da un brano del diario di Cesare Pavese, “Il mestiere di vivere”. Date le premesse, io sono corsa a comprarlo, qualcun altro starà pensando “l’ennesimo testo introspettivo e pesante”. Se può incoraggiare, i capitoli sono brevi, caratteri e interlinea grandi, il lessico semplice e lo stile “leggero”.

L’ho letto, all’inizio voracemente, poi l’ho messo un po’ da parte e l’ho ripreso con la lentezza necessaria all’elaborazione. Non è un romanzo, non è un saggio. Cos’è? L’autrice, vincitrice del premio Campiello con “Le assaggiatrici” (Feltrinelli, 2018), nell’epilogo, lo definisce “un mosaico impossibile da finire”, che l’ha rivelata però, in modo più diretto di come non faccia la narrazione, nell’epoca che abitiamo, “gettata nella Storia e dalla Storia condizionata come ciascun essere umano”. «Queste pagine sono il mio diario pubblico, il mio incubatoio, la testimonianza che ho vissuto, la mia reazione al presente che ogni giorno mi ha investito con le sue domande senza risposta». I punti interrogativi di noi umani, ambigui (vedasi la quarta di copertina).

Più generi, tantissimi temi. Ricordi personali e riflessioni sulle questioni collettive ed esistenziali si alternano tra i paragrafi, spesso cementati da citazioni e riferimenti bibliografici. Così, alle righe sui ricordi dell’infanzia nella punta dello Stivale degli anni ‘80, il trasferimento in Liguria e il senso di comunità svaporato, la famiglia come gabbia adolescenziale, l’amore “trattenuto” del padre introverso, la stessa incapacità di aderire a un ruolo della nonna, lo sviluppo fisico da affrontare e l’autostima da rinsaldare, i sacrifici e la separazione dalla madre per diventare adulta, il mutuo sì e la patente no, la rinuncia alla fede, la psicoanalisi e l’isteria sublimata nella scrittura, si amalgamano potenti righe sul patriarcato, la menopausa, il tabù del mestruo, l’endometriosi, l’omosessualità, il consenso giuridico, il matrimonio riparatore, gli uteri in affitto, la violenza verbale, la “cancel culture”, la “tuttologia” e il divieto di tacere sui social, il capitalismo, lo sfruttamento e la prevaricazione, l’abuso di potere negli ambienti accademici, “l’esclusione dalla grande mistica della maternità”. Con l’ostinazione di continuare a indagare il mistero della vita umana sulla Terra.. Finito qua? No, siamo ancora a metà.

«Io sono disunita non solo perché ho abbandonato tre città diverse (!!! ndr), e ho continuato ad essere, per chi è rimasto, quella che aveva conosciuto in un’epoca ormai finita. […] La maggioranza delle persone tenta semplicemente di salvarsi – come me». Aggirata la boa di pagina 100, la Postorino affronta l’Argomento della frammentazione dell’essere assistita dal Vitangelo Moscarda di Pirandello. «Ciò che lascia le persone perplesse è la fragilità che non si può mascherare connessa a un’indubbia tenacia: insomma, la contraddizione. […] Scrivo per cercare riscatto e non mi sento riscattata mai».

La solitudine impregna i fogli e si concentra nel racconto del recente lockdown. «L’altro può sempre farci del male. È questo rischio costante, mi ripetevo, a rendere la convivenza fra umani un miracolo».

Quasi esilaranti i capoversi che immaginano Kafka, Duras, Morante e compagni alle prese con le odierne e mondane presentazioni di libri e ripercorrono l’unico incontro tra Joyce e Proust a Parigi. Per guadare la cinematografia di Nanni Moretti e le dinamiche dei processi creativi, si cammina su una religiosa “devozione per le parole”. Apicella, in “Palombella Rossa” asserisce che, traducendo in una formula semplice quello che ha in testa, fallisce e conferma l’inadeguatezza del linguaggio nel rendere conto della complessità del reale. Berhard ribatterebbe che il linguaggio è incapace di rivelare la portata del dolore ma scrivere è il compito da eseguire. La Bachmann lo appella “castigo”.

Nelle cartelle sulla felicità, “percorso e non attimo eccezionale”, la penna si confessa preoccupata per l’elogio insistito della forza di coloro che hanno vissuto un’esperienza drammatica senza arrendersi e con dignità, esempi da ammirare. E gli altri che piangono e sono insonni e depressi, “che si astengono dalla logica del patimento”? «Cosa c’è di riprovevole nel soccombere?». Eh… La resilienza, “una croce”.

Spazio anche al risultato delle ultime elezioni europee, alla fragilità evidente del Vecchio continente che dovrebbe tutelare diritti umani altrove schiacciati e invece lotta, soccombendo un po’ ogni giorno, contro la deriva illiberale. Guardando a Kiev con molta retorica.

Ce n’è per tutti, insomma, in unico volume che avrebbe potuto risultare dispersivo e invece riesce a difendere una sconcertante linearità. Lo apri a caso e hai da ragionare per ore.

La testimonianza, umana e non sportiva, della campionessa olimpica Simone Biles ci prende per mano per tagliare il traguardo. Ritiratasi da quattro competizioni su cinque a Tokyo 2021 per “twisties”, ha mirabilmente soffocato ogni polemica: «Io sono più dei miei ori». Sapendo scindere la propria identità da proteggere dalle imprese professionali, rivendicando il diritto “di non essere sempre preformanti”. A 24 anni sapeva già che, al di là del ruolo sociale, barricata dietro cui talvolta ci si nasconde, ci siamo noi stessi.

La Postorino, infine, pur non sapendolo, con questo memoriale, smentisce la critica tedesca Anna Vollmer, che si occupa di letteratura italiana per la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e, durante l’ultimo Festivaletteratura di Mantova, ha così spiazzato il pubblico: «Se un tedesco guardasse oggi all’Italia senza esserci mai stato, e usando come osservatorio soltanto i libri degli ultimi anni, penserebbe che l’Italia sia un Paese abitato da vecchie donne con fattezze di streghe che vivono tutte in province isolate dal mondo. Invece anche in Italia ci sono persone con dei telefoni!».

«La letteratura è il luogo in cui viene detto quel che di solito la gente non dice: perché è inopportuno, o spaventoso, perché rischierebbe di essere giudicata. La letteratura dà voce all’illecito, all’inconcepibile – o non è. Gli scrittori scendono all’inferno al posto degli altri essere umani, e trovano una forma per raccontarlo. C’è in gioco la sopravvivenza, a ogni libro, e se a qualcuno pare enfatico è perché di letteratura sa poco».

Mi son dispiaciuti solo i troppi rimandi a Massimo Recalcati, ma la perfezione non esiste.

Gemma

Gemma Guido LIBRO

Che Gemma di libro! ~ ogni domenica su I&C

Gemma Acri Guido è nata a Cariati e cresciuta a Rossano. Ha poi cambiato casa e paese più volte di quelle in cui si è lasciata tagliare i capelli.
Dopo qualche anno nelle scuole del Cuneese, ora insegna Lettere al Liceo artistico di Ciampino. In precedenza è stata corrispondente de “Il Quotidiano della Calabria”, editor e correttrice di bozze. Le piace mangiare (anche se non si direbbe!), andare al cinema, viaggiare e camminare. Crede che i suoi genitori l’abbiano ormai perdonata per aver trasformato la loro casa in una biblioteca. E che l’ironia, i cani e la poesia salveranno il mondo. Oltre alla lettura, naturalmente!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati: