ROSSANO E IL CODICE Rossano, piccola e nobile città incastonata nelle amene pendici della Sila Greca, crocevia di antiche civiltà, sede del comando civile e militare dell’Impero Bizantino di Costantinopoli nell’Italia Meridionale, patria di papi, di letterati e di giuristi, ricca d’arte e di storia OSTENDE al mondo intero la sua gemma più preziosa, il CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS Quello che i cittadini rossanesi devono sapere sul codice. L’evangelario greco è uno dei più notevoli codici purpurei dell’epoca, sesto secolo, non solo per la sua rilevanza artistica, essendo un documento testuale ed iconografico mirabilmente miniato, ma anche per il suo significato storico-testuale. È catalogato tra i più antichi ed eccellenti manoscritti greci del Nuovo Testamento (Gregory – Aland Σ o 042). Non è noto il miniaturista che l’ha dipinto su pregiata pergamena colorata di porpora, comunque è opera di artista raffinato e colto. La trascrizione del testo è stata curata da amanuensi bizantini, esperti e di collaudata tecnica, probabilimente monaci basiliani di epoca preiconoclasta, che hanno portato il manoscritto a Rossano a seguito della loro migrazione in Calabria, ove fondarono numerosi monasteri. È da escludere che sia stato portato in dono dalla corte imperiale ottoniana perché proprio sotto l’Impero Tedesco si ha un rigoglio della miniatura (ove si annunzia la monumantale visione romanica) : tanti sono i pur sontuosi manoscritti ottoniani prima del 982 , e tutti portano i sigilli imperiali, per cui era più logico portare in dono, se dono fu portato, un codice ottoniano e non uno orientale. Inoltre, Rossano fu sede monastica basiliana tra le più importanti d’Italia e centro fiorente di scrittura in lingua greca; qui furono trascritti molti dei testi Italo-Greci, gran parte dei quali non sopravvissero alle incursioni barbariche o furono oggetto di mercato. Il codice, pur avendo resistito per oltre un millennio all’incuria del tempo e dell’uomo, ci è pervenuto mutilo, mancando totalmente i Vangeli di Luca e Giovanni. Per la sua fattura, di elegante e solenne compostezza e di raffinata e inaudita ricchezza, non era di uso quotidiano e doveva essere utilizzato nelle solennità liturgiche e nelle grandi cerimonie religiose. Col passaggio dal rito bizantino al rito latino cadde in disuso, per l’abbandono della lingua greca, e finì nell’oblio, ma non tanto da non attirare l’interesse e la curiosità dei predatori (chierici e/o secolari). Privo non solo di due Vangeli, e forse anche di altre pagine miniate, fu spogliato della sua copertina il cui piatto anteriore doveva essere riccamente ornato, alla maniera bizantina, con fregi in oro o in argento e pietre preziose. L’ordine dei Vangeli corrispondeva a quello prevalente nei manoscritti greci e siriaci e dell’asia Minore in generale: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Il nostro, oltre ai primi due, contiene la lettera di Eusebio a Carpiano. Il testo, in due colonne in greco onciale maiuscolo, privo di accenti, abbreviazioni e segni di interpunzioni (tranne il punto), è scritto, quanto ai primi tre righi, in oro e i restanti in argento. Le quattordici tavole miniate rendono forse il nostro manoscritto superiore ad ogni altro per classica solennità di immagini e orientale magnificenza. In esse è raccontata la storia della vita pubblica e della passione di Gesù, così come trattata nei quattro vangeli, e rappresentano un ciclo continuo e completo. Sotto le miniature sono le iconografie dei Profeti del Vecchio Testamento, mentre una tavola raffigura, in una ghirlanda di raffinata e policroma bellezza, le effigi dei quattro evangelisti. È da sottolineare, a conferma dell’epoca di confezione del documento e di traslazione dall’Oriente a Rossano, che la figura di S. Marco è l’unica che si trova nei manoscritti di epoca anteriore alla lotta iconoclasta. Il codice uscì dall’oblio in cui era caduto nel 1846 ad opera di un giornalista napoletano, Cesare Malpica, che lo scovò nella sagrestia della Cattedrale di Rossano e ne diede notizia nel suo libro “La Toscana, l’Umbria e la Magna Grecia”, in cui oltretutto, parla con entusiasmo degli splendori passati e presenti della città. Il merito di aver segnalato e promosso il progetto di inserire una così insigne opera tra i beni eccellenti del patrimonio artistico mondiale dell’UNESCO è tutto di Mons. Santo Marcianò, Arcivescovo di Rossano e Cariati dal 2006 al 2013. Questo è l’abbiccì del codice che i rossanesi hanno ben inciso nella loro mente.
CONCLUSIONE Rossano da troppo tempo assiste impotente, ma non rassegnata, allo sfascio che ha colpito la vita pubblica della Città in ogni suo apparato civile e non, ove gli uomini di governo esercitano il potere con ignavia, incapacità e incompetenza (non voglio aggiungere altro). Hanno trascinato la nostra Città in secche al cui confronto quelle della Barberia sono acque profonde e limpide. Questo stato di cose non è più tollerabile e spero che la innata fierezza di un Popolo, dai natali antichi e nobili, presto riaffiorerà e travolgerà gli scellerati che hanno fatto e continuano a fare scempio del Patrimonio e della Storia cittadina. I Rossanesi amano la Città e il Codice e guai a chi continua a colpirli nel cuore delle cose più care che hanno!”. Giuseppe Zumpano