Con il PNRR l’Italia ha programmato e pianificato, l’utilizzo di risorse imponenti e strategiche. Lo ha deciso pure per il Sud, anche se con meno risorse di quante avrebbe dovuto riservarne alle Comunità meridionali. Non solo perchè il PNRR prevedeva la distribuzione delle disponibilità in maniera da diminuire il divario infrastrutturale esistente tra i territori all’interno della stessa Nazione, ma, anche e soprattutto, perché il Mezzogiorno si conferma centrale per lo sviluppo dell’Italia e dell’Europa tutta. A tal riguardo, i dati sono chiari: “Se il Sud avesse avuto negli ultimi 20 anni un tasso di crescita medio annuo di almeno 2 punti superiore, il Pil italiano sarebbe stato allineato a quello degli altri Paesi europei, invece che sistematicamente sotto”. Questo per dire che una ripresa strutturale dell’economia italiana può avvenire solo se il Sud cresce di più e in maniera sostenibile. Per centrare l’obiettivo, però, occorre una comprensione articolata e flessibile dei contesti geo-politici. Perchè se l’Italia è un insieme di territori, simili ma non uguali, aggregati dalla forza unificante della lingua, il Sud è un mosaico composito e prezioso, unico e raro, di territori, di tradizioni e di storie.
Stabiliamo preliminarmente che il Meridione, contrariamente alla narrativa in voga nel nostro Paese, non è un deserto industriale. A sostenere quanto su riportato non siamo noi scriventi, ma i numeri. Le oltre 95mila imprese manifatturiere presenti nel Mezzogiorno farebbero del Sud (qualora fosse uno Stato autonomo dell’UE) una delle Nazioni a maggior presenza industriale. Per essere più precisi: l’ottava. Risulterebbe, pertanto, più corretto — a nostro avviso — porsi il problema di cosa sarebbe necessario ad un rilancio sistemico dell’industria nell’estremità della Penisola. E — come dicevano — un ragionamento del genere non può prescindere da un’analisi degli ambiti concorrenti a formare il Sud nel suo insieme. Quindi, partire dall’assunto che il Meridione potrebbe essere candidabile per ospitare filiere energetiche, logistiche, turistiche ed agroalimentari. Riteniamo, in funzione di quanto riferito, e non già per partigianeria, che l’area del golfo di Taranto sia quella più predisposta ad accogliere un vero e proprio ecosistema delle richiamate filiere.
Si pensi ai tre Distretti agroalimentari di qualità presenti nell’area: Sibaritide, Metapontino, Salento.
Si aggiunga la possibilità di creare, a fianco quello di Taranto, almeno altri tre Distretti turistici (partendo da quello “Sybaris e Kroton – destinazione Magna Graecia”).
Inoltre, mettendo a sistema gli Asset infrastrutturali posizionati nel contesto (porti ed aeroporti), l’area della baia jonica si inquadrerebbe nella duplice veste di georeferenziazione ottimale e terminal naturale agli interessi medio-orientali, africani e atlantici. Settorialmente, rispetto le soluzioni logistiche riguardanti la nuova centralità mediterranea. Quindi, come appendice agli interessi continentali.
Infine, i progetti per le nuove Comunità energetiche green (quella già esistente a Taranto e prevista tra Crotone e Corigliano-Rossano con il coinvolgimento di Enel, Eni ed A2a) inquadrano il contesto in una rinnovata visione territoriale. Vieppiù, amplificano la sua appetibilità nell’attrarre nuovi investimenti. Richiedendo e sollecitando, a questo proposito, anche un ruolo guida delle grandi imprese partecipate dallo Stato.
Una nuova valorizzazione delle filiere, ordunque, per promuovere la riscoperta e, non per ultimo, un restiling delle funzioni economiche caratterizzanti l’Arco Jonico.
In questo processo di ricucitura, chiaramente, devono entrare di diritto le questioni legate ai porti, ai retroporti, alle aree industriali dismesse e alle aree ZES che, quasi senza soluzione di continuità, costellano tutta la linea di costa che va da Crotone a Gallipoli, passando per Corigliano-Rossano, Pisticci e Taranto.
La vantaggiosa condizione descritta, rende il luogo in esame indicato alla genesi di un “processo territoriale ad incremento rapido”. Ovvero, ambiente naturale per cogliere più opportunità economiche (finanche accelerando i tempi di ottimizzazione delle priorità), legate con sussidiarietà, fra contesti d’ambito ad affini interessi. Trasformando, quindi, con investimenti mirati, settori e filiere largamente sottoutilizzate in, vero e proprio, valore aggiunto. Come, d’altronde, ci insegnano i principi macroeconomici. Le capitalizzazioni effettuate nelle aree arretrate, infatti, restano suscettibili di promuovere una crescita più elevata rispetto a quelle effettuate in zone più avanzate.
Sotto quest’aspetto, quindi, è conveniente che un’area come il golfo di Taranto decolli. Perché, a regime, disporrebbe di qualità tali da trainare il resto del sistema calabro-appulo-lucano ed in generale il Mezzogiorno.
Così facendo, si individuerebbero i settori da cui partire per immaginare processi di economie circolari finalizzati a permettere, anche al territorio più isolato e marginale dell’intero Mezzogiorno (l’Arco Jonico e, soprattutto, il suo anello debole: l’asse Sibari-Crotone), la possibilità di declinare nuove prospettive di sviluppo.
Sostenibilità, razionalizzazione, innovazione, management evolutivo devono essere i capisaldi a cui guardare con fiducia ed ottimismo, affinché si alzi forte il vento e la voce di un altro Sud. Ma, soprattutto, di un altro ambito jonico: quello che non subisce le scelte imposte dai centralismi. Al contrario, che indirizza, con intelligenza e cognizione di causa, un nuovo paradigma economico condiviso con le popolazioni locali.
Giovanni Lentini
Domenico Mazza
Comunicato stampa