A nove anni dalla morte di Fabiana Luzzi il suo ricordo rimane impresso nella comunità. La storia di una ragazza di appena 16 anni, accoltellata e bruciata viva, che ha pagato con la vita la violenza di genere, ribellandosi agli abusi e alle sopraffazioni dell’aggressore, all’epoca il suo fidanzatino 17enne, che sta scontando la pena a 18 anni di reclusione. Anche quest’anno l’Associazione Onlus Mondiversi e il centro anti-violenza Fabiana Luzzi hanno voluto commemorare il giorno della scomparsa di Fabiana, lo ha fatto in due tempi, tenendo conto della volontà della famiglia che oggi esprime segnali di stanchezza dopo lunghi anni di profondo tormento. La manifestazione si è tenuta con grande discrezione, anche per volontà dei genitori. È stata depositata una rosa bianca sulla lapide eretta nel luogo dove è stato rinvenuto il corpo della piccola Fabiana in contrada Chiubbica e , successivamente, la delegazione si è spostata al Parco Periurbano “Fabiana Luzzi”. Nel corso del cerimoniale commemorativo sono state lette delle poesie di cui una scritta dalle componenti del centro Anti-Violenza. Erano presenti il presidente dell’Associazione Mondiversi Antonio Gioiello, i genitori di Fabiana Mario Luzzi e Rosa Ferraro, la responsabile del centro anti-violenza Luigia Rosito, l’Assessore alla Cultura Alessia Alboresi, il Presidente del Consiglio comunale Marinella Grillo e il vicesindaco Maria Salimbeni, oltre ad altre rappresentanze istituzionali. A margine dell’evento, i responsabili di Mondiversi hanno manifestato nutrite riserve circa le condotte delle istituzioni, anche locali, relativamente alla necessità di adottare politiche di tutela nei confronti delle donne vittime di violenza. Il particolare riferimento è rivolto alla mancata attivazione della «rete territoriale anti-violenza che si conferma di vitale importanza per il supporto alle vittime. «Occorre mettere insieme soggetti pubblici e privati e lavorare in sinergia». Così Luigina Rosito, responsabile del centro Anti-Violenza Fabiana Luzzi, nel giorno del ricordo.
La sofferenza, l’amarezza, il dispiacere si toccano nelle riflessioni del padre della piccola Fabiana, Mario Luzzi:«Quando un rapporto non funziona bisogna pacificamente determinarsi senza diventare proprietari della vita altrui», commenta Luzzi. Che non risparmia critiche allo Stato e a come si pone di fronte a certi barbari omicidi: «I condannati veri sono le vittime e non i carnefici, i quali, godono di tutti i benefici che lo Stato gli concede. Possono studiare, ottenere dei premi, godere di permessi, formarsi e rifarsi una vita. Ma come si fa a togliere il diritto alla vita alla vittima e darlo a un carnefice che ha distrutto una famiglia». Alla manifestazione ha preso parte la mamma di Giuseppe Parretta, il ragazzo di Crotone, ucciso all’età di 18 anni il 16 gennaio del 2018 nella sede dell’associazione “Libere donne” gestita da Katia Villirillo, sua madre. «Per le vittime, continua Luzzi, è un calvario quotidiano a tal punto da rimanere quasi senza energie. Siamo stanchi, nove anni sono tanti, ammette Luzzi. Nelle nostre vite c’è un prima e c’è un dopo, e purtroppo quel “dopo” è talmente crudele che nemmeno alle peggiori bestie si può augurare». Il vice sindaco Maria Salimbeni parla di «ferita che difficilmente si ricuce. La città non dimentica e le istituzioni hanno il dovere di attivarsi affinché alcune situazioni di violenza non si verifichino. C’è un discorso di prevenzione, di approccio e di cambiamento culturale in un contesto che ha ancora bisogno di esempi». Il Presidente Gioiello sottolinea come sia importante ricordare Fabiana: «La sua storia è esemplare, e rappresenta la condizione femminile in Italia e in altre parti del mondo. Non dobbiamo dimenticare che ha pagato con la vita il costo di aver detto di “no” a delle pretese maschili, a degli abusi e a delle prevaricazioni». Il massimo rappresentante di Mondiversi si dice rammaricato dell’utilizzo di alcune esternazioni rese da componenti istituzionali del Comune di Corigliano-Rossano che hanno rilasciato dichiarazioni infelici e «irrispettose».