La nostra città è stata “eletta”, prima in Calabria e seconda in Italia, come sede per ospitare, il 24 aprile u.s., la prima Quadriennale di Arti contemporanee. Un movimento imponente, sorprendente di pittori, scultori e fotografi provenienti da ogni parte di Italia ed Europa, un “esercito” di uomini e donne, con pennello e scalpello, approdati al nostro Palazzo delle Culture per onorarci con la creatività delle loro opere. E tutto grazie al generoso impegno dell’artista di grande calibro Gianfranco Pugliese e della illuminata Sofia Vetere; al mecenatismo di Margherita Amarelli, col battesimo di Ginevra Vercillo. Ma possibile, dietro le quinte, anche grazie al lavoro di Pierluigi Rizzo, Tina Cannello, Federico Smurra e quanti altri si sono spesi per un evento così degno di attenzione e capace di richiamo. (L’avranno capito tutti?)
“L’arte non è tanto una collezione di opere o un insieme di forme canonizzate, quanto il tramandamento del senso della vita colto sotto il profilo della sua essenziale tonalità emotiva.”
Così mi è capitato di leggere in questi giorni.
Ma se arte è davvero questo tramandare il senso della vita catturato nella sua essenza emotiva, allora sento di dovermi fermare a pensare cosa sia arte per me; me che non saprei definire in altro modo se non come donna del sud. Cerco nei libri varie definizioni; vago tra Platone, Aristotele, poi Tolstoy e tanti altri…; ma poi attraverso con gli occhi -e forse col cuore- questa terra, le cui radici mi hanno da sempre così tanto avvinta, e sento diffuso il respiro dell’Arte.
Perché… arte è l’intreccio di fibre naturali che si sposano, grazie a infaticabili mani, sulla trama di un tessuto istoriato; è l’incrocio di una mappa urbana che si snoda intorno alle strade basolate di una nobile colonia magnogreca, incorniciando edifici sacri, terme, tabernae, teatri, per spingersi, sicuramente, verso il mare; arte è il succedersi su ariose colline di colossi arenari elevati a cinta murarie che custodiscono i segreti della cultura brettia; arte sono dei monoliti scolpiti in forme elefantiache e ciclopiche sui primi clivi dei monti silani; arte è il sapiente, paziente accostamento di tessere musive che conservano il ricordo di epoche ancora più antiche e compongono allegorie di mitologici bestiari; arte è l’imponenza delle torri normanne di un arroccato maniero così bene restituito al presente; arte, incredibile arte, è nelle miniature che iscrivono la storia di Cristo sulla porpora di superstiti pergamene; arte è nell’armonia composta di cinque cupolette che si elevano su un oratorio bizantino; arte è negli occhi grandi della Madonna e del figlio da lei sorretto in un’icona che si dice fatta da sé; arte è nell’opera santa di un uomo che più di mille anni fa seppe unire l’Oriente e l’Occidente, e che regalò alla storia la bellezza di un tratto grafico che sopravvisse nel lavorìo paziente di uno scriptorium basiliano e non solo. Ma arte, summa dell’arte, è anche nei paesaggi che si aprono dai nostri primi poggi o nelle anse sofferenti di un ulivo secolare.
Mi fermo allora a considerare che il nostro stesso genius loci sia arte.
E tuttavia, l’amore del luogo e la circostanza, importante come poche, non mi tolgono la lucidità di cogliere l’ingombrante contraddizione che salta agli occhi tra una storia così scolpita e cesellata e una modernità -che sfocia nell’oggi- sicuramente meno lusinghiera e meno appagante.
Ma non voglio indossare certo la veste del pessimismo, né tanto meno del lamento.
E allora è con ottimismo e sguardo al futuro che vorrei leggere il senso anche di questa imponente Quadriennale di Arti contemporanee qui nella nostra città oggi.
L’Arte può avere qualcosa a che fare con la Politica?
E’ forse sin troppo ovvio ricordare a noi tutti che l’arte si innesta in un binomio che i Greci resero efficacemente con la fusione nell’unico termine di KALOKAGATHÌA.
Il bello e il buono sono tra loro inscindibili. Il bello non sarebbe tale se non fosse ispirato e imperniato su valori eticamente qualificati; e il buono, d’altra parte, riveste di bellezza intrinseca anche ciò che ne sarebbe in parte privo, se ci si fermasse ad un giudizio meramente estetico.
Sul valore educativo e permeante della BELLEZZA non si insiste mai abbastanza.
E forse tanto più oggi si rende necessario coniugarlo col senso di eternità o quantomeno di durevolezza e, indirettamente, di lentezza. Oggi che è l’impero del commerciale, del “tutto e subito”, ma anche dell’isterico transeunte, della velocità come condizione quasi divenuta ontologica oltre che fisiologica del nostro vivere quotidiano, oggi l’arte ci può restituire saldo e intatto il valore di una bellezza che sfugge al tempo e che, anzi, nel tempo stesso trova il suo più alto complice; perché c’è un bello soggettivo, che -sì- rivendica autonomia di giudizio, ma resta, a mio avviso, intatta la categoria di un bello oggettivo, che proprio nella riconferma attraverso le generazioni, e poi i secoli, trova il suo maggiore titolo di merito.
Eppure, in alcuni momenti l’arte ha sposato il BRUTTO, lo ha volutamente elevato a soggetto di ispirazione o a linguaggio espressivo; è l’urlo che distorce l’espressione del volto, è l’esagerazione che rompe ogni ricerca di armonia, è il contorcersi di un albero umanizzato, o le piaghe e le rughe dei lavoratori di un campo di patate, o lo scatto fotografico sul filo spinato di una trincea di guerra; ma è, appunto, come si diceva in apertura, un esprimere il senso della vita attraverso tonalità emotive, che in questo caso raccontano di sofferenza, di disagio, di denuncia. Di un urlo, ecco, che rappresenta il dolore individuale o storico. E non mi stupirei di trovarne varie espressioni oggi in questa mostra di arti contemporanee.
Ma c’è un altro termine che mi salta alla mente quando rifletto sul valore e la valenza dell’arte nei tempi. Ed è DI-VERTIMENTO.
Non nel senso, in questo caso, di puro intrattenimento, di piacere, che pure non condannerei come obiettivo, o risultato, di una fruizione artistica. Calvino ci ricorderebbe l’importanza della leggerezza tra le categorie non solo della letteratura, ma dell’arte in genere. Che, quindi, ben vengano il piacere e il puro divertimento legati alla lettura di un bel libro, o alla musica, o alla fruizione di una qualsiasi altra espressione d’arte, come potrebbe essere il caso di una mostra.
Ma, in quest’occasione, pensavo al senso etimologico del termine DI-VERTIMENTO, cioè al senso del dirigere altrove, del fare prendere un’altra direzione.
Molto spesso l’arte ha fornito una lettura ex post o in itinere dei momenti storico-sociali di varie epoche, suggerendo piste di interpretazione sempre dettate da sguardi profondi e riflessivi sulla vita.
Allora occorre riconoscere nell’arte anche la forza di generare cambiamento, di indicare altre direzioni, di fornire al presente una traiettoria che, pur nelle diversità della dialettica storica, ha sempre trovato nell’uomo e nel riconoscimento della sua dimensione complessa il minimo comune denominatore.
Arte è come dire cultura. Artista è come dire scrittore, filosofo, poeta.
Una città che voglia davvero essere città di cultura non può solo fregiarsi del suo passato e quello trasformarlo in motivo di orgoglio o di pretesa superiorità. Una storia ILLUSTRE può essere un’arma a doppio taglio, perché illustre altro non significa che “fare luce”; come l’arte, che trova quasi sempre nella luce la sua forza dinamica.
E allora, se saremo capaci di fare sì che la cultura, il rispetto per l’altro e per l’ambiente, un benessere diffuso, la dignità del lavoro, il diritto alla salute, lo spirito del servizio, la qualità della vita, la giusta dimensione del tempo… il bello e il buono, quindi, abitino nella nostra città; se saremo capaci, insomma, di costruire un presente e delineare un futuro che pongano al centro la persona, allora, sì, potremo davvero dirci città di cultura e la nostra nobile storia farà luce sulle nostre capacità e valorizzerà il nostro oggi.
Ma se così non fosse, se così non sarà, la luce del passato altro non farebbe che dare ancora più risalto alle ombre grigie di una città dove il brutto sarebbe o segno di indifferenza o urlo di denuncia.
L’arte, allora, è, sì, divertimento; è luce, è Politica nel senso ampio; ma l’arte è anche, sempre, MONUMENTO, nel senso duplice, ancora una volta suggerito dai classici, di memoria e ammonimento; non solo, inteso, verso i politici direttamente impegnati, ma, in forme e misure diverse, verso ogni polìtes; perché ogni cittadino deve sentirsi chiamato alle proprie responsabilità, ossia a rispondere oggi e domani alle legittime pretese di felicità dei propri figli e nipoti.
P.s. Di Dissonanze: Una città di cultura è anche quella che sa riconoscere il valore, il merito, l’unicità e l’impegno che appartengono ai grandi eventi di spessore -quale di certo questa Quadriennale di Arti contemporanee è stata- e ottimizza e ripaga lo sforzo e il piacere di chi -neanche giovanissimo spesso- è arrivato da Parigi, da Bruxelles, dall’Albania, o dalle diverse regioni di Italia, o anche solo da altre città della Calabria, con un’ospitalità che si prolunghi ben oltre il tempo paradossale di una notte. Ma, invece, alle 14.00 del 25 aprile, giorno di festa, di visite, di turismo, gli artisti tutti avevano già smontato quadri, sculture, installazioni, fotografie per chiudere un’esperienza gloriosa a poche ore dal suo inizio! Pur non essendo a conoscenza degli aspetti organizzativi, da semplice cittadina di questa terra di antica cultura e ospitalità esprimo tutto il mio rammarico e, accanto ai complimenti di apertura, sento ora di dover porgere le scuse per tutto ciò agli organizzatori e agli artisti.
E allora, insieme a quanto già espresso sopra, anche per questo, oltre che per le tante “rumorose assenze” registrate in una platea affollatissima ed entusiasta, il mio interrogativo, inquietante, è: siamo davvero e, principalmente, vogliamo essere, davvero oggi, una Città di Cultura?
Alessandra Mazzei