Corigliano-Rossano ricorda i 12 pescatori: il mare che lega e divide | GUARDA IL VIDEO

Mezzo secolo dopo la tragedia del 31 dicembre 1974, Schiavonea e Corigliano-Rossano hanno ricordato i dodici pescatori vittime del mare in una cerimonia intensa. L’evento si è svolto nei pressi della “Madonnina”. La giornata è iniziata con i saluti istituzionali e una Santa Messa, seguiti da momenti dedicati al ricordo delle vittime, tra cui un intermezzo musicale, la lettura di una poesia e il simbolico lancio di lanterne. Il sindaco di Corigliano Rossano, Flavio Stasi, ha reso omaggio alla memoria dei 12 pescatori di Schiavonea : «Non si tratta solo di un dramma familiare, ma di una tragedia collettiva che ha colpito l’intera marineria di Schiavonea e di Corigliano Rossano. Per anni, il ricordo di quella notte è stato quasi un tabù, vissuto con eccessivo rispetto e difficoltà nel riportarlo alla luce. Tuttavia, oggi la commemorazione diventa un momento di riflessione, arricchito dalla partecipazione di altre località vicine, come Cassano, luogo in cui uno dei pescherecci finì tragicamente sulle sabbie di Sibari.

L’importanza del ricordo e della sicurezza

Stasi ha sottolineato come questa tragedia non sia solo un evento storico, ma anche una lezione sul valore della sicurezza sul lavoro e sulla vita dei pescatori: «Erano lavoratori che stavano portando il pane a casa. Se fosse esistito un rifugio come avrebbe dovuto esserci in quest’area, quella tragedia non sarebbe mai avvenuta». Secondo il sindaco, il sacrificio di quei 12 pescatori ha spinto la nazione a riconoscere l’urgenza di infrastrutture adeguate, come il porto di Schiavonea, essenziale non solo per la marineria, ma per l’intero sistema produttivo legato al mare. «Realizzare approdi portuali significa garantire sicurezza, sicurezza sul lavoro, sicurezza di vita e rispetto per un ambito che fa parte del nostro territorio e che produce ricchezza con la pesca, il turismo e la bellezza naturalistica», ha aggiunto. Una corona è stata deposta in mare, e una targa commemorativa è stata scoperta per onorare la memoria degli uomini scomparsi. L’iniziativa ha sottolineato l’importanza di preservare la tradizione marinara e riflettere sulle condizioni di lavoro dei pescatori calabresi. Una poesia in ricordo. Quella notte del 31 dicembre 1974 rimarrà per sempre impressa nella memoria di Schiavonea, una comunità profondamente legata al mare e ai suoi ritmi. Vittorio Annichino, testimone diretto della tragedia, racconta con voce spezzata gli eventi drammatici che portarono alla morte di 12 pescatori, vittime del mare in burrasca.

L’attesa e l’allarme

«Quella notte aspettavamo il rientro delle due barche, verso mezzanotte o l’una. Ma con il passare delle ore, intorno alle due, due e mezza, non erano ancora arrivate», ricorda Annichino. La preoccupazione cresceva e un centinaio di persone si radunò lungo la costa, in via Trieste, scrutando l’orizzonte agitato dal vento e dalle onde. Fu allora che videro la prima barca a circa 200 metri dalla riva. «La barchetta legata dietro era già persa. Noi facevamo segno di non avvicinarsi, perché le onde erano altissime, ma loro puntarono sulla riva». Il momento decisivo arrivò quando il peschereccio si trovò a meno di 100 metri dalla costa. «Era in cima a un’onda altissima. Quando scese, era troppo vicina alla riva. La prua toccò il fondo del mare e si capovolse. La barca si cappottò completamente. Ricordo di aver visto un marinaio volare in aria, oltre dieci metri, e poi tutto sparì», racconta Annichino. La disperazione era totale. «Restammo lì fino all’alba, ma dell’altra barca non c’era traccia. Solo il giorno dopo trovammo i resti del secondo peschereccio vicino nei pressi dei laghi di Sibari e la barchetta integra approdata alla pineta. Dentro c’era il tredicesimo marinaio, che aveva un cognome diverso, parente delle due famiglie coinvolte».

Le cause del disastro

Secondo Annichino, il mare quella notte si era trasformato rapidamente. «Quando partirono, il mare era calmo. Ma verso mezzanotte si alzò la burrasca. Non fu un’onda anomala, come alcuni dicono, ma un mare repentino, con onde che si susseguivano, altissime. Più passava il tempo, più il mare diventava pericoloso». Alla domanda su cosa sarebbe stato meglio fare, Annichino risponde con dolore: «Loro volevano tornare a casa per Capodanno, portare il pescato a Schiavonea. Ma se fossero andati verso Trebisacce o Amendolara, il mare sarebbe stato più calmo. Forse la loro audacia li ha traditi. Erano i migliori pescatori, i più esperti, ma anche i più sicuri di farcela».

Un errore fatale

L’esperienza non mancava ai marinai di quelle due famiglie, ma la tragedia è avvenuta per una tragica combinazione di audacia e condizioni avverse. «Se fossero stati solo 50 metri più avanti, sarebbero planati a terra. Se fossero rimasti 50 metri più indietro, non avrebbero toccato il fondo e avrebbero resistito all’onda successiva. Ma così non è stato», conclude Annichino.

Il dolore di una comunità

Per Vittorio Annichino, che arrivò a Schiavonea nel 1964 e vi rimase per amore, quella notte fu una ferita indelebile. «Questa tragedia ha colpito non solo due famiglie, ma l’intera comunità. È stata una lezione amara che ci ricorda quanto il mare sia meraviglioso e crudele allo stesso tempo. Nessuno di noi dimenticherà mai quei volti e quella notte». Una tragedia che ancora oggi, 50 anni dopo, continua a vivere nel ricordo di Schiavonea, trasformandosi in un monito per garantire maggiore sicurezza ai pescatori e a chiunque affronti il mare.

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