La rabbia, a tratti sprezzante, di cittadini che invocano il diritto alla salute, talvolta negato da uomini e donne che rappresentano lo Stato e le istituzioni. È l’animato sentimento trasmesso dai familiari di una donna, 88enne, con gravi patologie pregresse che, alle tre della scorsa notte, inizia ad avvertire un grave malore seguito da rigurgito. In casa c’era la badante la quale si mette subito in contatto con il 118 di Cosenza e contestualmente avverte uno dei familiari che, nel frattempo, raggiunge l’abitazione dell’anziana. Dal centralino del 118, l’addetta parte con una sequela di domande e, a fine conversazione, si opta non più per l’intervento tempestivo di un’ambulanza del 118 ma per la guardia medica. Ed è qui che inizia il calvario. Ai numeri di guardia medica formulati o non risponde nessuno o risultano occupati, riferisce il figlio della malcapitata. Che, non contento, si reca direttamente presso la sede di guardia medica adiacente al presidio ospedaliero “Nicola Giannettasio” di Rossano. «Non ho trovato nessuno, mi sono fatto accompagnare dalla guardia giurata e la stessa mi riferisce che la guardia medica non c’era, tanto meno l’aveva vista. Vorrei sapere, denuncia l’uomo, se una donna anziana che avverte un malore ha bisogno di una guardia medica di notte, cosa deve fare? A chi si deve rivolgere?».
La famiglia, sul punto, si riserva di adire le vie legali: «Non se ne può più, in un Paese civile di circa 80mila abitanti, con i presidi ma senza medici, non si può essere così inadempienti». La guardia medica è una figura di continuità assistenziale che sostituisce il medico di famiglia nelle ore notturne o festivi. C’è un problema, ormai da tempo, di reperibilità di medici i quali non ritengono più conveniente sul piano contrattuale svolgere tale attività. Al momento nell’area del basso Jonio cosentino sono molte le postazioni scoperte e, spesso, i pazienti sono costretti a chiamare il 118 il cui personale, spesso non medicalizzato per carenza di medici (anche qui perché poco appetibili i contratti per i medici), interviene con il trasferimento in pronto soccorso, aumentando il carico di lavoro nei presidi d’emergenza già sovraccarichi e carenti di personale.