di ROSSELLA MOLINARI
È una linea sottile quella che in molti settori separa il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito. E spesso la si travalica. Da qui nascono azioni che non sempre è facile inquadrare sin dall’inizio, su cui fondamentale si rivela l’operato delle forze dell’ordine e della magistratura, chiamate a fare chiarezza sui tanti episodi che turbano quotidianamente la vita della comunità. Uno di questi episodi, la notte di Capodanno, ha riguardato da vicino Giuseppe De Lorenzo, segretario della Camera del Lavoro-Cgil di Corigliano, che ha visto andare in fumo la propria auto parcheggiata sotto casa. Un incendio che nel giro di pochi minuti ha distrutto l’autovettura, completamente avvolta dalle lingue di fuoco. Il messaggio sembra essere chiaro; non risultano minacce pregresse, anche se l’attività svolta dal sindacalista qualche segnale quotidiano sul rischio che corre lo dà. «Ci muoviamo ‒ afferma De Lorenzo ‒ in quell’ambito in cui il malaffare esiste, pensiamo a fenomeni quali il caporalato, gli appalti nel settore dell’edilizia e la miriade di interessi che vi girano attorno. Facciamo interventi su più fronti».
Proprio il caporalato negli ultimi tempi è stato al centro di alcune inchieste giudiziarie che hanno aperto uno squarcio su un mondo fatto di sfruttamento e di vessazioni. Certo il fenomeno è diffuso ma non bisogna cadere nella tentazione di fare di tutta l’erba un fascio, considerato che vi sono numerose realtà serie che operano nel pieno rispetto delle regole.
E, spesso, rischiano di essere penalizzate da comportamenti illeciti perpetrati da altri. Tornando al caso De Lorenzo, non vi è al momento una pista prevalente sulle altre e, come è giusto che sia, tutto è demandato alle indagini avviate dai carabinieri sotto il coordinamento della Procura della Repubblica. L’accaduto offre tuttavia numerosi spunti su cui riflettere, a partire dalla stessa azione del sindacato, tesa a ripristinare il rispetto delle regole e dei diritti dei lavoratori in tutti i campi. Tenendo ben presente che il più delle volte è proprio lo stato di precarietà, l’incertezza di un futuro, lo stato di bisogno ad “allevare” manovalanza per la criminalità. Il lavoro scarseggia, quei pochi che riescono a trovarne spesso sono costretti ad accettare condizioni mortificanti e gli altri hanno già deciso di emigrare altrove in cerca di fortuna. Per chi rimane, comunque, uno dei settori che ancora oggi continua ad offrire impiego è l’agricoltura, richiamando anche una cospicua manodopera straniera. E, attualmente, su questo fronte qualcosa sta cambiando. Il fenomeno, che oggi sembra meno visibile, in realtà è ancora più esteso. Ma è più organizzato di prima. Lo racconta lo stesso Giuseppe De Lorenzo: «È cambiato il modus operandi dell’arrivo dei migranti. Fino a qualche tempo fa, si organizzavano da soli, arrivavano qui in pullman, cercavano casa tra mille difficoltà, qualcuno si sistemava nei ghetti o in baracche improvvisate e poi si andava a cercare lavoro nella “piazza delle braccia” di Schiavonea, sotto gli occhi di tutti».
Ora, invece, è tutto più organizzato, il flusso dei migranti arriva nel periodo della raccolta e si ferma per un tempo prestabilito. Anche il numero di persone sembra essere rispondente a quella che è l’offerta di lavoro e la ricerca dell’abitazione non è più demandata al caso. Quando i lavoratori arrivano, è già stabilito dove alloggeranno e tutto scorre velocemente mentre si riempiono le varie caselle. Tutto questo rende oggi il fenomeno meno visibile. «Sembra che ci siano meno stranieri ‒ continua De Lorenzo ‒ ma dai controlli effettuati al Centro per l’impiego, l’anagrafe degli iscritti per il lavoro in agricoltura non è affatto diminuita, anzi è leggermente aumentata. C’è un modus operandi diverso che non cogliamo a vista ma che sicuramente ha permesso di creare un’organizzazione, spesso al di fuori della legalità, per tutto ciò che riguarda il reclutamento e l’immissione nel lavoro agricolo». Si accennava ai diritti dei lavoratori calpestati. La legislazione offre una serie di strumenti ai quali può ricorrere il lavoratore, partendo dalla denuncia di ciò che accade. E se è vero che è difficile dimostrare ipotesi di reato quali il caporalato o la riduzione in schiavitù, c’è un’altra amara realtà con cui ci si scontra quotidianamente: chi denuncia resta fuori dal mercato. E siccome si è di fronte a un sistema “a vasi comunicanti”, riuscire a trovare un altro impiego diventa un’impresa, se non proprio un’utopia.