Ancora più incredibile è però il fatto che, per i reati relativi alla gestione illecita di rifiuti e al disastro ambientale, il Codice Antimafia non preveda, attualmente, l’informativa antimafia. La mancata verifica puntuale della trasparenza e della estraneità alla malavita dei soggetti componenti le società attive nel settore, e perciò autorizzate a contrattare con la Pubblica Amministrazione, indubbiamente favorisce e spiega l’interesse manifestato dalla criminalità mafiosa e le sempre più pesanti infiltrazioni di questa, segnalate pure dagli incendi di impianti e discariche che da qualche tempo si registrano in ogni parte d’Italia. Nel caso delle bonifiche il rischio è ancora maggiore, perché la procedura si articola in più fasi e gli importi si frazionano di conseguenza.
È urgente, dunque, che il legislatore intervenga per raddrizzare questa stortura, in primis inserendo la gestione dei rifiuti e le bonifiche (codici ATECO 38 e 39) nel novero delle tipologie di attività elencate all’art. 1, comma 53 della L. n. 190/2012, che, riconosciute come “maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa”, per affidamenti di qualsiasi importo, prevedono la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria. In tal senso mi propongo di agire, certa di trovare sponda sia nella commissione “Antimafia”, di cui faccio parte, sia nella più specifica commissione bicamerale d’inchiesta sui reati connessi al ciclo dei rifiuti.
Non è concepibile, infatti, che si continui a rendere facile la vita ai criminali che consumano per profitto personale i beni comuni e compromettono le vite di tutti (Comunicato stampa).