Nei giorni scorsi, in un apposito editoriale (https://informazionecomunicazione.it/editoriale-della-liberta-di-stampa-non-frega-niente-a-nessuno/) ci siamo occupati dei gravi limiti posti dalla libertà di stampa minacciata dalle condizioni di ricattabilità cui sono sottoposti i giornalisti. Abbiamo preso in esame il mondo della disoccupazione e del precariato, del lavoro che non c’è o sottopagato, e abbiamo ipotizzato soluzioni mirate a determinare le condizioni affinché anche in Italia si possa seguire un modello di giornalismo vero, autonomo e indipendente. Tale proposta, al momento è solo un’idea, tiene conto della necessità di destinare, in via esclusiva, i finanziamenti rivolti all’editoria a soggetti giuridici (coop – società – ditte individuali – associazioni – etc etc) composti prevalentemente da giornalisti, poligrafici, teleoperatori, amministrativi, ed altre figure professionali inerenti il mondo dei media, così da ottenere almeno due risultati: libertà e garanzia degli stipendi.
Oggi fare impresa per giornalisti editori di se stessi è quasi impossibile: basta pensare ai costi previdenziali e tutto si paralizza. E poiché il giornalista svolge un ruolo sociale di alta utilità pubblica è giusto che uno Stato dia priorità a questa categoria. Ma alla categoria, non a editori estranei, con altri interessi, che non perdono occasione per distogliere i finanziamenti assunti dallo Stato in altre direzioni. Assottigliare la soglia degli aventi diritto ai finanziamenti pubblici significa anche garantire una certa solidità al fondo destinato all’editoria, spesso senza copertura finanziaria perché le maggiori poste vengono assorbite da editori impuri. Tra i risultati immediati anche l’elevazione della qualità dell’informazione anch’essa posta a rischio. Un esempio su tutti: l’attuale stato di crisi in alcuni casi trova sfogo nel giornalismo “fai da te”. C’è chi mette su un sito di informazione nella speranza di incassare quante più visualizzazioni possibili al fine di vedersi riconosciuto qualche spicciolo dai motori di ricerca. Questa povertà induce a scrivere di tutto e di più, a fantasticare, a lucrare sulle persone e sulla loro vita anche privata e personale. E tutto questo per una manciata di visualizzazioni in più. Una logica, frutto di una serpeggiante disperazione, che può essere superata solo se lo Stato si mette in testa di mettere al centro i giornalisti, e non altri. Anche la categoria, tuttavia, deve trovare il coraggio di indignarsi, di uscire fuori allo scoperto. I tempi sono cambiati rapidamente, siamo stati travolti dalla rete, la notizia cammina in un batter d’occhio sui social. Bisogna prenderne atto ed andare avanti rinnovandosi e innovandosi, puntando su se stessi e non su altri. Anche perché gli “altri” (gli editori di un tempo) sono in via di estinzione. E allora dobbiamo metterci in gioco e rivendicare i nostri diritti alla pari di altre categorie. Dice bene Carlo Parisi, segretario nazionale aggiunto Fnsi e segretario del Sindacato dei giornalisti Calabria, quando mette in rilievo le contraddizioni del nostro mestiere. Siamo capaci di stigmatizzare fenomeni relativi al lavoro nero quando si parla degli altri e non lo facciamo per noi quando ne siamo diretti protagonisti. Sembrerà assurdo ma è così. Ed è tempo anche che i cittadini sappiano e conoscano la realtà. Come non indignarsi, ad esempio, quando leggiamo sul Fatto Quotidiano che a Fabio Fazio sono destinati ben 18milioni di euro dal servizio pubblico? (https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/rai-ecco-il-contratto-di-fazio-106-milioni-alla-sua-societa/) Viene da domandarsi: quante cooperative di giornalisti potrebbero essere finanziate in Italia? Quanti giornalisti troverebbero lavoro? E invece ci teniamo “Che tempo che fa” (ovviamente sponsorizzata politicamente) e altro in silenzio, senza un momento di ribellione, quasi come se le nostre menti fossero anestetizzate dall’idea dell’impossibile, che la società non possa essere cambiata o mutata. Dico semplicemente in conclusione: almeno a provarci!!!
Rossella Molinari
giornalista