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Editoriale. Il caso Amato e l’indignazione a orologeria: il diritto schiacciato dal tribunale mediatico

A Castrovillari il clima si è fatto pesante. Il nome dell’avvocato Rosalba Amato è sulla bocca di tutti, dopo che Le Ienehanno dedicato un servizio televisivo a una vicenda che risale al 2021. Oggi, a distanza di tre anni, la procura ha notificato un avviso di conclusione delle indagini per l’accusa di circonvenzione di incapace, un atto previsto per consentire alla difesa di esporre la propria versione. Non una condanna, ma un passaggio procedurale. Eppure, la macchina del fango si è già messa in moto. La città si è svegliata all’improvviso, come se quei fatti fossero emersi solo ieri. Ma Castrovillari non è una metropoli: in un contesto ristretto e ben informato, certe notizie circolano, eccome. Solo che – per tre anni – sono rimaste sottotraccia. Poi è arrivata la tv. E con lei, l’indignazione.

Un principio che vale per tutti

Il garantismo è il fondamento del nostro sistema giudiziario. Significa che ogni persona è innocente fino a prova contraria, fino a sentenza definitiva. Non è un privilegio: è una tutela universale. Ma quando entra in scena la spettacolarizzazione, si perde ogni misura. L’indagine si trasforma in condanna pubblica, l’opinione si fa sentenza, la reputazione si distrugge senza possibilità di appello. Chi oggi grida “giustizia” lo fa spesso dimenticando questo. Lo fa – talvolta – cavalcando l’onda dell’emotività, del consenso facile, della piazza. Ma giustizia non è show. E nemmeno vendetta. È rigore, tempo, confronto tra prove e difese.

Ipocrisia collettiva

C’è qualcosa che stona in questa reazione improvvisa. Perché oggi sì, e prima no? Perché si è scelto il silenzio quando i fatti circolavano a voce, e ci si mobilita adesso che sono diventati televisivi? Forse – ed è il dubbio più amaro – perché indignarsi in diretta, oggi, conviene. In questa ondata di reazioni, chi è coinvolto – direttamente o per riflesso – è esposto a un linciaggio morale. La stessa Rosalba Amato oggi non può più vivere la propria quotidianità senza subire attacchi, sguardi, sospetti.

Giustizia è garanzia, non clamore

Difendere il garantismo non significa minimizzare le accuse o chiuder gli occhi di fronte ai fatti. Significa pretendere che ogni accusa venga trattata nel luogo giusto: il tribunale. Non nelle strade, né sui social, né sotto i riflettori. Significa anche proteggere il diritto di ogni cittadino – anche il più odiato – a una difesa piena, senza pregiudizi. Perché se domani toccasse a chi oggi applaude la gogna, quel diritto diventerebbe improvvisamente prezioso. Il caso dell’avvocato Amato deve far riflettere su come reagiamo ai fatti, su quanto siamo pronti a sospendere il giudizio, su quanto crediamo davvero nei valori che diciamo di difendere. Chi crede nella giustizia non si accoda al linciaggio. La aspetta. La rispetta. La pretende.

Matteo Lauria – Direttore I&C

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