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Editoriale.  Il moralismo a orologeria e la povertà di idee

C’è un tipo di moralismo che scatta solo a comando. Non è ispirato da una reale tensione etica, né da un bisogno di pulizia pubblica. Si attiva solo quando torna utile. E a farne uso sono spesso proprio quelli che, prima, hanno sistemato i propri affari, gli amici, i parenti. Poi si mettono in piedi sulla sedia e gridano allo scandalo, come se vivessero su un’isola incontaminata. La coerenza? Un dettaglio trascurabile. La memoria? Un optional. Eppure, in certi territori dove le relazioni personali sono fitte e i fatti si conoscono, guardarsi indietro sarebbe un esercizio utile. Perché la verità è che ci si conosce tutti. Le reti, le filiere, le convenienze. Questo moralismo a intermittenza ha finito col danneggiare anche quei processi di moralizzazione che sarebbero necessari. Il risultato? L’opinione pubblica non crede più a nessuno. Anche quando qualcosa di vero c’è, anche quando uno scossone serve, la reazione è sempre la stessa: sfiducia totale. Non si distingue più il giusto dall’interessato, il sacrosanto dalla vendetta personale, l’azione trasparente dall’occasione per regolare conti. Nel frattempo, mentre si rincorrono polemiche e indignazioni a tempo, nessuno parla dei problemi veri: lavoro, visione del territorio, opportunità per i giovani. Si vola basso. Troppo basso. Perché mancano le idee, i progetti, le prospettive. Ci sono rappresentanti senza anima e senza coraggio, che si limitano a gestire il presente, senza costruire nulla. Nessuna rotta, nessun orizzonte. E allora è comodo alzare il volume sul giustizialismo, agitare lo scandalo, puntare il dito. Perché proporre soluzioni è faticoso. Criticare, invece, è gratis. Ci sono tante persone perbene. Con idee, con valori, con esperienza. Ma stanno a casa. Si tengono alla larga dalla politica. Perché “è sporca”. E così, la gestione della cosa pubblica finisce nelle mani di chi non è pronto. Di chi non ha visione, né competenze. Di chi cerca consenso facile invece di assumersi responsabilità difficili. È qui che si gioca il vero rischio: che il vuoto venga riempito dal nulla. Serve un cambio di passo. Servono persone disposte a metterci la faccia. Serve coraggio, competenza, onestà, e una voglia genuina di costruire, non solo di distruggere. Chi oggi si tiene in disparte, pensando di non appartenere a questo mondo, deve capire che il vuoto lasciato sarà riempito da altri. E molto spesso, non da chi ha le spalle larghe o la testa libera.  È il momento di smetterla con il moralismo usa e getta. È il momento di parlare di futuro, e di farlo sul serio. È il momento che le intelligenze tacciano meno e agiscano di più. Perché un territorio non si cambia con le invettive. Si cambia con le idee, con la passione, con il coraggio di esserci.

Matteo Lauria – Direttore I&C

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