Editoriale. Industria pesante e pale eoliche: l’arco ionico e l’incapacità di proporre un futuro

Da decenni l’arco ionico viene trattato come una terra di nessuno, una periferia dimenticata destinata a subire le decisioni prese altrove, calate dall’alto senza riguardo per le comunità locali, il territorio e la sua vocazione naturale. Roma, nell’immaginario collettivo della popolazione ionica, è una presenza lontana, sorda alle istanze del territorio, ma sempre pronta a scaricare sulle sue spalle progetti di sviluppo che, anziché rispondere ai reali bisogni della popolazione, paiono più orientati a considerare il Golfo di Taranto come una pattumiera nazionale.

Le recenti polemiche legate all’installazione di ben 24 pale eoliche tra Corigliano Rossano e Calopezzati, che con i loro imponenti impatti visivi e ambientali andrebbero a devastare uno dei panorami più suggestivi dell’intera costa ionica, sono solo l’ultimo capitolo di una storia lunga e tormentata. Una storia in cui decisioni come questa, assunte senza un vero dialogo con il territorio, dimostrano un disinteresse verso le peculiarità naturali e culturali dell’area. Il Golfo di Taranto, con i suoi tramonti mozzafiato, la sua fauna marina e le sue spiagge che accolgono turisti da ogni parte del mondo, merita di essere valorizzato e non sfruttato come un banale spazio industriale. L’impatto ambientale di queste pale, unito agli effetti devastanti sulla fauna marina, la pesca e il turismo, rendono questa imposizione tanto ingiusta quanto miope.

Eppure, di fronte a queste ingiustizie, emerge un’amara verità: l’arco ionico non propone nulla. Ci si lamenta, si protesta, si denuncia il malgoverno e l’arroganza della politica centrale, ma dove sono le alternative? Roma, per quanto sorda e distante, non può ascoltare il silenzio di chi non ha voce. Le idee e i progetti per il futuro del territorio, purtroppo, non solo latitano, ma quando esistono faticano a prendere piede. E allora, per quanto ingiusto possa sembrare, la realtà è che quando Roma tratta il Golfo di Taranto come una pattumiera – dalla proposta di trivellazioni al carbone e ai rigassificatori, fino ai depositi di sostanze radioattive – la colpa non è solo della politica romana, ma anche di un territorio che non ha saputo reagire con forza e coerenza, con proposte concrete e visioni di futuro.

Le pale eoliche: l’ennesima imposizione dall’alto

I presìdi di protesta contro le pale eoliche sono, quindi, legittimi e necessari. Da anni si attendeva l’eliminazione delle ciminiere dell’Enel, che hanno segnato la storia e l’ambiente di quest’area per più di quarant’anni. Dopo tanta attesa, però, invece di una liberazione, si profila un nuovo assalto all’ambiente. Queste pale eoliche, pur presentate come soluzioni per l’energia pulita, non possono essere la risposta giusta quando l’impatto sul paesaggio e sull’economia locale è devastante. La bellezza del Golfo di Taranto, con i suoi tramonti e i suoi orizzonti aperti, è una risorsa inestimabile, su cui si basano attività economiche vitali come il turismo e la pesca. Gli effetti sulle correnti marine, sulla fauna ittica e sugli equilibri dell’ecosistema marino potrebbero essere altrettanto disastrosi. Le comunità locali, già provate da decenni di industrializzazione pesante, non possono accettare passivamente un ennesimo colpo inferto al loro ambiente e alla loro economia. Ma, come spesso accade, la voce del territorio si disperde nel vento: i progetti non attecchiscono, le iniziative per un’alternativa di sviluppo restano inascoltate, forse perché frammentarie, forse perché prive del sostegno politico e istituzionale necessario a renderle credibili e sostenibili.

Un vuoto di proposta che pesa come un macigno

Negli ultimi anni, una proposta ha cercato di emergere, quella della costituzione di un’area metropolitana che comprenda Crotone, Gallipoli e tutti i comuni costieri e pedemontani, con l’obiettivo di creare un’entità politica che potesse fungere da scudo per la protezione dell’intero arco ionico. Un’area che potesse ridisegnare le strategie di sviluppo turistico, mettendo al centro la sostenibilità e la valorizzazione delle risorse naturali. Si è lavorato su un progetto ambizioso che prevede, tra le altre cose, il collegamento dei 24 porti presenti nell’arco ionico con aliscafi, creando una vera e propria rete di trasporti via mare capace di collegare in meno di un’ora la città di Pitagora al Salento e viceversa. L’idea è quella di favorire non solo la mobilità interna, ma anche l’interscambio dei flussi turistici, sviluppando nuove opportunità economiche per l’intero territorio. Si è anche pubblicato un libro, La baia della Magna Graecia, che è stato portato in giro per i vari comuni, accompagnato da campagne di sensibilizzazione volte a far conoscere il progetto e a stimolare un dibattito costruttivo sul futuro dell’area. Ma nonostante gli sforzi, il progetto non ha preso piede. Come si spiega questo insuccesso? È colpa di un territorio troppo disilluso per credere ancora in nuove proposte? O forse manca quel sostegno politico e istituzionale che solo una classe dirigente coesa e determinata può garantire?

Tacere quando si viene trattati a pesci in faccia?

Di fronte a questa situazione, appare quasi naturale chiedersi: ha senso continuare a protestare contro le scelte calate dall’alto, quando dall’Ionio non arriva alcuna proposta concreta? È giusto ribellarsi contro Roma quando, in fondo, non si riesce a costruire un’alternativa valida e condivisa? Forse, la verità più amara è che, almeno in parte, la responsabilità di questa marginalizzazione del Golfo di Taranto è da ricercare proprio nel vuoto di proposte che caratterizza il territorio. Quando non si è capaci di presentare progetti validi e concreti, il rischio è quello di diventare semplicemente una terra di conquista, uno spazio vuoto da riempire con ciò che altrove non si vuole o non si può più fare. E allora, forse, tacere quando Roma ci tratta a pesci in faccia diventa davvero un atto dovuto, almeno fino a quando non si sarà in grado di rispondere con forza e con idee chiare e sostenibili. L’arco ionico merita di più. Merita una classe dirigente che sappia difendere il territorio non solo con proteste e resistenze, ma anche con proposte innovative e concrete. Solo così, un giorno, si potrà spezzare quel silenzio che oggi, al di là delle parole, sembra essere il vero nemico di queste terre.

Matteo Lauria – Direttore I&C

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