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Editoriale. Quando c’erano i forestali la montagna respirava e i borghi restavano vivi

Un tempo le montagne calabresi erano presidiate da uomini. I lavoratori forestali erano ovunque: nella Sila, nella Presila, nelle Serre, nel Pollino. Contribuivano ogni giorno alla manutenzione, alla salvaguardia, alla cura viva e quotidiana del nostro patrimonio naturale. Non erano solo operai: erano parte integrante del paesaggio. Senza di loro, la Calabria di montagna semplicemente non sarebbe esistita come la conosciamo. Oggi, invece, la loro assenza pesa come un macigno. Sentieri invasi dalla vegetazione, corsi d’acqua ostruiti, pinete ammalate, incendi più frequenti e più devastanti. La processionaria, che un tempo era sotto controllo, si è diffusa in molte aree. I boschi si ammalano. E i paesi si svuotano. Ma attenzione: lo spopolamento non è colpa solo del taglio ai forestali. È un processo più profondo, strutturale. I giovani lasciano la Calabria per studiare o cercare lavoro altrove, e spesso non tornano più. I servizi mancano, le prospettive sono poche. Però è anche vero che la presenza dei forestali, una volta, dava un motivo in più per restare. Garantiva reddito, comunità, senso di appartenenza. Tanti si fermavano, mettevano su famiglia, compravano casa, animavano i paesi dell’interno: Longobucco, Bocchigliero, Campana, Acri, San Giovanni in Fiore. Quei lavoratori erano tanti, distribuiti, presenti. Avevano un ruolo. Poi qualcosa si è rotto. La Regione Calabria non li ha saputi gestire, né valorizzare. È venuto meno un progetto. Un’idea. Si è perso il ricambio generazionale. Invece di favorire l’ingresso di nuove leve, formate e motivate, si è preferito lasciar invecchiare il sistema, salvo poi smantellarlo un pezzo alla volta. Quando qualcuno è andato in pensione, non è stato sostituito. Non è partito alcun processo di svecchiamento. Non è stata immaginata alcuna nuova stagione. Al posto dei forestali sono comparsi i cosiddetti “fondi sollievo”, misure-tampone che hanno creato precarietà e disoccupazione, senza rilanciare né il lavoro né la montagna. Oggi si parla di “lavoratori idraulico-forestali”, ma nessuno sa bene cosa facciano, come vengano impiegati, con che tipo di contratto o di formazione. Nel frattempo, il territorio si è trasformato. In peggio. I boschi crescono senza controllo, le frane aumentano, gli incendi devastano interi versanti. I camminatori si perdono nei sentieri che non esistono più. I piccoli corsi d’acqua si trasformano in fiumi di fango alla prima pioggia. Tutto questo è anche frutto dell’assenza dei forestali. Chi li ha chiamati “nullafacenti” ha fatto un grave errore di lettura. Erano invece presidio, prevenzione, futuro. Reimpiegarli, oggi, non significa solo offrire un posto di lavoro: significa riprendere in mano la gestione del territorio, evitare disastri ambientali, proteggere l’identità dei luoghi. E rilanciare le aree interne, che senza uomini e progetti si spengono lentamente. La Calabria ha bisogno di tornare a credere in sé stessa. E non c’è modo migliore di farlo che ripartendo da chi può tenere viva la sua parte più bella, più autentica, più fragile: la montagna.

Matteo Lauria – Direttore I&C

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