L’ipotesi di chiusura dell’Ospedale di Corigliano (smentita dai più) avrebbe dovuto suggerire, a chi di competenza, di porsi con grande equilibrio, prudenza, senso del dovere e di responsabilità alla questione. Al dì là della veridicità o meno della notizia ( si parla di una relazione degli ispettori ministeriali consegnata al Ministro – che non è l’equivalente di un provvedimento di chiusura), ciò di cui dovremmo discutere è se l’Ospedale di Corigliano è funzionale alla domanda di sanità o meno, se strutturalmente presenta delle anomalie o meno, se logisticamente è adeguato a ospitare l’emergenza-urgenza o meno, se eventualmente l’ospedale di Rossano è nelle condizioni di poter ospitare il presidio di Corigliano o meno. Questi sono i punti su cui ragionare, non certo la levata di scudi localistica che tanto male ha prodotto al nostro territorio. Quando parliamo di “sanità” dobbiamo allontanarci dalle logiche del consenso elettorale. Dobbiamo trovare la forza di dire basta alla cultura del tutto sotto casa. Non è più possibile. Occorrono ragionamenti di riflessione che portino ad efficientare il sistema. E invece, si ha tutta l’impressione che ancora si voglia parlare alla pancia delle persone! Solito ritornello “l’ospedale non si tocca”, “spoliazioni”, etc etc etc… Una sorta di vittimismo che non tiene conto della realtà, ma risponde alla solita logica di compiacere prevalentemente chi ha interessi nel mantenere lo stato attuale, di sostanziale inefficienza. Il “dramma Calabria” è strutturale. E non basta neanche lo sblocco delle assunzioni perché poi bisogna badare alla qualità dei nuovi assunti che non sempre corrisponde ad efficienza. Abbiamo bisogno di università, di ricerca, di innovazione tecnologica. Tutto questo non c’è nella nostra regione, se non a piccoli tratti.
DEVE CAMBIARE L’APPROCCIO CULTURALE
C’è bisogno di un radicale cambiamento culturale. Alcuni episodi del passato ne rappresentano la conferma. Come non ricordare quella fascia di popolazione coriglianese, fortunatamente una piccola parte, che stappò bottiglie di champagne per l’allora chiusura del tribunale di Rossano, ritenuto discusso come tanti altri, e posizionato su un “cucuzzolo”, così come si amava affermare all’epoca. E ora? A questa piccola parte di coriglianesi cosa si dovrebbe dire? Ospedale posizionato su un cucuzzolo, problemi strutturali, difficoltà oggettive logistiche, viarie e di trasporto (basta pensare che l’elisoccorso non può atterrarvi)! Alcuni sono gli stessi che festeggiarono alla chiusura dell’ex presidio di giustizia. Cosa si dovrebbe dire a costoro? Si fa bene a chiudere l’ospedale? Il tribunale di Rossano fu chiuso, ingiustamente, e senza alternative se non il dramma di doversi recare quotidianamente a Castrovillari. Mentre a fronte di una eventuale chiusura del “Guido Compagna” (fortunatamente scongiurata al momento) c’è in costruzione il nuovo ospedale di Insiti, ricadente sul territorio dell’ex comune di Corigliano, oggi Corigliano Rossano. Dobbiamo cambiare mentalità, dobbiamo lasciarci alle spalle il passato che ha prodotto ciò che è sotto gli occhi di tutti. Guardare a Corigliano Rossano come una unica città, un solo corpo. Puntiamo sull’efficienza. Se un domani si dovesse attuare il disegno Scura che attribuisce l’area chirurgica a Rossano e l’area medica a Corigliano, il tutto sarà perché tale prospettiva risponde a una logica che è di tipo logistico, tecnico e di opportunità. Nel lontano passato una ben circoscritta area di classe dirigente coriglianese fece perdere il Dea, dipartimento di emergenza e di accettazione, proprio mentre i lavori erano iniziati. Si perse tutto, Dea e finanziamento. Con la beffa di dover risarcire i privati! Quante vite si sarebbero potuto salvare? Terreno minato in cui non mi addentro.
Così come, ai tempi dei fondi per l’edilizia sanitaria (art.20) vi era chi aveva proposto la realizzazione di un nuovo ospedale a Corigliano (area Palazzetto dello sport di Insiti – da non confondere con l’ospedale nuovo in costruzione), anziché lavorare per la creazione aggiuntiva di un nuovo corpo al vecchio ospedale “Guido Compagna”. Alla fine si optò per quest’ultima soluzione, scelta rispettabile ma decisamente poco lungimirante.
Oggi siamo al capolinea. Guardiamo alla sostanza delle cose, evitiamo il consenso a tutti i costi o le forme deteriori di equilibrismo. Gli utenti vogliono e chiedono, a giusta ragione, solo ed esclusivamente “buona sanità”. E se questo significa chiudere il “Guido Compagna” o il “Nicola Giannettasio” lo si faccia pure senza creare terrorismo psicologico in chi è tirato dalla giacca. Si decida e basta.
Matteo Lauria – Direttore I&C