Editoriale. Terzo mandato ai sindaci: una necessità per superare ipocrisie e inefficienze

Il limite dei due mandati consecutivi per i sindaci è una norma che, oggi, merita di essere rivista. Non si tratta di una provocazione, ma di una riflessione necessaria su una regola che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto favorire il ricambio della classe dirigente, ma che nella pratica ha generato dinamiche di continuità indiretta più dannose che utili. Il legislatore, se lungimirante, dovrebbe essere capace di trarre insegnamenti dal passato. E la storia recente dimostra che il limite dei due mandati non è servito a scardinare la cristallizzazione del sistema politico locale. Le piccole oligarchie, che si voleva superare, sono ancora saldamente al comando, mentre il contesto generale è addirittura peggiorato. L’illusione che un turnover forzato potesse portare a un rinnovamento è stata smascherata: i cosiddetti rinnovatori delle classi dirigenti si sono rivelati spesso una facciata, incapace di produrre un reale cambiamento. Un aspetto importante è che i sindaci, dopo il secondo mandato, non restano a guardare. Anziché ritirarsi dalla scena politica, trovano modalità per mantenere la propria influenza, piazzando fiduciari a loro vicini. Questo meccanismo genera una sorta di continuità ufficiosa che aggira il limite dei due mandati. Di fronte a questa realtà, occorre interrogarsi: non sarebbe più sensato permettere una continuità trasparente, mantenendo al timone chi ha già dimostrato capacità amministrative, piuttosto che affidarsi a copie sbiadite?

Un confronto con il Parlamento

La questione del terzo mandato per i sindaci non va confusa con il limite di mandati per i parlamentari. In questo secondo ambito, il vincolo può effettivamente contribuire a evitare la formazione di carriere politiche interminabili e a favorire lo svecchiamento delle istituzioni. Tuttavia, il ruolo del sindaco è profondamente diverso: è una figura che opera in prima linea, spesso là dove lo Stato centrale fatica ad arrivare. Il sindaco non è un burocrate, ma un punto di riferimento per la comunità, e il suo lavoro è valutato direttamente dai cittadini. Mettiamo da parte i falsi populismi e l’illusione che basti una regola rigida per rinnovare le classi dirigenti. Il vero rinnovamento passa dalla capacità di selezionare una leadership competente, attraverso un ritorno alle scuole di partito, alla partecipazione, all’assemblearismo, non da limiti temporali che rischiano di penalizzare l’esperienza e la continuità amministrativa. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di stabilità e visione, non di cambiamenti forzati che si rivelano spesso controproducenti.

Una questione di responsabilità

La politica deve saper prendere atto della realtà e adeguare le regole alle esigenze dei cittadini. Abolire il limite dei due mandati per i sindaci non significa rinunciare al ricambio, ma favorire un sistema che premi la meritocrazia e consenta alle comunità di scegliere liberamente chi considerano più adatto a guidarle. Se un sindaco dimostra di essere all’altezza, perché impedirgli di continuare a servire la propria città? L’abolizione del limite ai mandati sarebbe un atto di fiducia verso i cittadini e verso la loro capacità di giudizio. In un momento storico in cui la politica è chiamata a rispondere a sfide sempre più complesse, è tempo di mettere da parte soluzioni semplicistiche e affrontare la questione con pragmatismo e responsabilità.

Matteo Lauria – Direttore I&C

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati: