A volte la resa è segno di umiltà. Ostinarsi su un qualcosa di irrealizzabile è atto di presunzione e arroganza. Con rammarico, dopo anni attività, cedo le armi e lascio l’esperienza interna al gruppo d’azione per la verità sul tribunale di Rossano. Lo faccio con amarezza, se non altro perché vivo questa decisione come chi purtroppo cede all’idea di quei tanti che di volta in volta, forse perché attinti da tanta saggezza, affermano “CHIN TA FA FAR è una battaglia inutile”. E, oggi, eccoci al capolinea. E, confesso, doverlo ammettere fa davvero male. Lascio perché sono stanco di sentirmi dire che quella chiusura sia da considerare un atto “politico”, dopo aver urlato l’enorme ingiustizia commessa da alti magistrati che si sono permessi di dichiarare il falso, di alti burocrati di alterare relazioni e aprirsi alle ipotesi di carte false prospettate anche da un senatore della repubblica e su cui mai nessuno ha inteso fare chiarezza. Il tutto perché si doveva chiudere a tutti i costi l’ex tribunale di Rossano, e non già altri presidi minori. Ho sempre sostenuto l’idea che in Calabria nessun presidio avrebbe dovuto essere soppresso e che avrei speso le stesse forze in difesa del tribunale di Castrovillari o di Paola.
Francamente, in tutto questo, non ci vedo nulla di politico. Ci vedo invece, pur non essendo un uomo di diritto, reati, abuso di potere, favoritismi, opportunismo, protettorati, voglia da parte di qualcuno di dover fare carriera nell’ambito del sistema giudiziario ai danni di tanta gente, di tal altri affetti da collegite. Ma la politica, mi sia consentito, è tutt’altra cosa! E’ educazione al senso di giustizia, all’onestà, all’etica. Lascio quindi perché stanco di dover spiegare che questi sono valori da difendere a prescindere dal discorso della chiusura o della riapertura dell’ex tribunale e che la battaglia avesse a che fare con un processo di moralizzazione della vita pubblica. E chi non l’ha capito non è certo il cittadino di strada o il contadino (con tutto il rispetto), ma quei tanti fuoriusciti da università che decantano titoli a più non posso. Altro che conoscenza della Costituzione italiana o stato di diritto. Mi chiedo talvolta quale possa essere il livello qualitativo di istruzione universitaria in Italia? Chi scrive non ha dottorati da sbandierare, sia chiaro. E inizio a convincermi che possa ritenersi motivo finanche di vanto se questa è la società che siamo riusciti a costruire. Abbiamo fatto di tutto al fine di far capire quanto di marcio vi sia stato dietro quella chiusura: consegnato dossier alle più alte cariche dello Stato, presidente della repubblica, presidente del consiglio, ministro della giustizia, presidenti di commissione, parlamentati, governatore regionale, coinvolgimento di sindaci ( se ne sono distinti solo alcuni tra l’altro di piccoli comuni a cui va tutta la mia stima) del territorio. Siamo riusciti ad ottenere solo impegni e promesse di ascolto. Di concreto nulla. La risposta? La solita: un problema politico. Che nulla c’azzecca (alla Di Pietro) con l’atto immorale perpetrato da uomini e donne dello Stato, che in quanto tali effettuano (da rito) giuramento e atto di fedeltà alla Costituzione e ai valori dominanti della Repubblica.
Dignità dunque calpestata ovunque, quasi avessimo la peste, non siamo stati neppure ricevuti. E cosa dire del comportamento della gente in generale, pronta a riempire piazze e sale su iniziative da sagra e a disertare quando si trattava di coinvolgere per protestare a Roma? O dei media nazionali, sordi in tutto. O di gran parte delle amministrazioni comunali locali o delle organizzazioni sindacali. Paradossalmente, l’aspetto confortante è la presa d’atto che tale senso di rassegnazione sia presente un po’ in tutte le tematiche sociali afferenti questo territorio. Ma il tribunale, rispetto ad altre tematiche, presenta una specificità differente: la perpetrazione di reati al fine di raggiungere l’obiettivo della chiusura. Quali ? Non sta a me dirlo, né individuarli, ma a chi è pagato per farlo. Ho sperato anche in questo Governo Lega-M5S, pensando che avviasse una campagna di moralizzazione sul “caso Rossano” in linea con lo spirito con cui tali sigle si sono approcciati all’elettorato, invocando giustizia e moralità. Ero fiducioso nei quattro parlamentari locali, auspicando l’avvio di un processo di trasparenza rispetto ai fatti accaduti. Niente, anche per i pentastellati quella stortura illegale va letta come un “fatto politico”, quasi come se questo pentolone non debba mai scoperchiarsi. E’ lo stesso governo tra l’altro che decanta il licenziamento di provvedimenti contro la corruzione. A parole e sulla carta. Nella realtà il “caso Rossano” rimarrà nella storia impunito. E tutto questo è davvero vergognoso, tanto per gli organi dello Stato quanto per noi tutti cittadini lontani evidentemente da logiche di moralità. Questo è il contesto culturale con cui per lunghi anni mi sono interfacciato. Lunghe discussioni con chi era ed è felice della chiusura dell’allora tribunale di Rossano perché ritenuto “discusso”, come se altri tribunali in Calabria e in Italia fossero indenni o esenti da fenomeni degenerativi. Inutile ribadire l’idea che uno Stato autorevole e presente a fronte di magistrati eventualmente inadempienti procede a rimuovere gli stessi da quelle postazioni, ma non certo sopprime un tribunale. Anche perché se dovesse essere questa la logica, in Italia rimarrebbero davvero pochi tribunali. Lascio quindi questa esperienza, ringraziando quanti vi hanno creduto ed esortandoli a non mollare. Io non ci credo più, ma magari ci sarà chi è più ottimista e fiducioso.
Matteo Lauria
(ex componente GAV – Gruppo d’Azione per la verità sul tribunale di Rossano)