I fatti risalgono a febbraio 2014 quando i due vennero tratti in arresto insieme al latitante Silvio Farao, quest’ultimo trovato nell’abitazione dei coniugi. Silvio Farao è considerato capo indiscusso dell’omonima cosca che regna egemone e agevolando incontri con gli altri affiliati, assistendo il medesimo nei vari spostamenti e fornendogli vitto e alloggio, avrebbero di fatto agevolato l’intera consorteria criminale, essendo il ricercato il “core business” dell’intera organizzazione. La tesi, sposata in primo grado dal Tribunale di Catanzaro, portò ad una sentenza di condanna che stabiliva come l’aiuto al capo mafia non poteva che tradursi nell’aiuto alla intera consorteria criminale, con conseguente riconoscimento dell’aggravante mafiosa e inasprimento del trattamento sanzionatorio. Aggravante esclusa in sede di appello, mentre ora si attendono le motivazioni per l’eventuale proposizione del ricorso in Cassazione.
(comunicato stampa)