Fusione dei comuni di Corigliano e di Rossano: la campagna di sensibilizzazione e di informazione affidata alla spontanea decisione di singoli comitati, partiti e cittadini. Le istituzioni totalmente assenti. Il progetto ha bisogno di un forte impulso proprio nell’ambito della comunicazione, altrimenti si rischia un flop partecipativo da un lato e strategico dall’altro. I due comuni su questo fronte stanno con le mani in mano. Non un euro per sensibilizzare in materia di fusione. Si pensa a spettacoli musicali e danzanti, al cantautore di turno, e non si investe nulla sulla città unica. Bel modo di credere in un progetto. Che messaggio si trasmette al popolo degli “indecisi” se un sindaco a tutto pensa tranne che a sensibilizzare su una questione così delicata che rischia di compromettere gravemente il futuro non solo delle due città ma dell’intero territorio? Manca forse la consapevolezza di ciò che potrebbe accadere sul piano culturale. Un eventuale “flop” potrebbe determinare una definitiva chiusura delle relazioni istituzionali, sociali e commerciali attualmente esistenti. Ognuna delle realtà si chiuderebbe a riccio, indebolendosi ulteriormente, con gravi ripercussioni circa il futuro delle due realtà. Attualmente sussiste un interscambio commerciale che aiuta l’economia locale in un’ottica di area urbana. Edilizia, mercato delle auto, arredamenti, mezzi e prodotti agricoli, centro commerciale, sono tanti i settori interessati alla tenuta produttiva del territorio. Nel caso dovesse prevalere il “no” non tutti percepirebbero questo segnale come elemento di democrazia di cui prendere semplicemente atto, ma s’innescherebbero meccanismi di conflitto e di contrapposizione altamente dannosi per la stessa economia. Insomma si darebbe la stura a una vera e propria guerra tra poveri. Sono tutti aspetti, questi, che al momento si fa finta irresponsabilmente di non vedere, come gli struzzi. E invece esistono, fanno parte della realtà. Ed è per questo che bisogna evitare il rischio di una retrocessione incredibile del progetto di sviluppo in cantiere. Un sindaco che nicchia sull’argomento trasmette un segnale deleterio in chi nutre legittimamente dubbi sull’argomento. Un’amministrazione ha il diritto/dovere di crederci, soprattutto dopo aver dato inizio al procedimento referendario. E invece cosa accade? Si vota si in consiglio comunale e poi si paralizza tutto in sede di sensibilizzazione, dando vita a prese di posizioni che oscillano tra la realizzazione di studi di fattibilità, situazione economico/finanziaria dei comuni, modalità elettive del referedum. Il tutto per perdere tempo e non fare nulla. Si pensa dunque ai pericoli di cio’ che potrebbe accadere nel caso si dovessero fondere i comuni, ma non si pensa ai pericoli incombenti nel caso invece non dovesse passare il referendum. Si verificarebbe una spaccatura storica di difficile ricomposizione. E la responsabilità, in primo luogo, non potrà che essere attribuita politicamente alle due amministrazioni comunali in carica, chi più chi meno. Allo stato sono i comitati e pochi partiti ad avere dato vita ad iniziative pubbliche. Le amministrazioni pensano ad altro: non un incontro pubblico, non un dibattito, non una serata a tema. Né forniscono sostegno economico ai comitati, i cui componenti si stanno autotassando. In un’idea o ci si crede o no. Le posizioni ibride non portano a nulla, fanno perdere solo tempo, esattamente come sta accadendo in questa fase storica. Tentennare è segno si scarsa autorevolezza per chiunque ne se renda protagonista.