Corigliano Rossano . La Valenza del nome.
Ci si chiede spesso quale sia il significato che si attribuisce ad una persona piuttosto che ad una cosa.
Ebbene molto di quel significato risiede anche nel semplice concetto nominale che alla stessa persona o alla stessa cosa si è deciso d’attibuire.
La fusione amministrativa tra le due ex principali città della Sibaritide, oggi amministrativamente unite in un’unica realtà, territorialmente fra le più grandi d’Italia e demograficamente posizionata al settantesimo posto nel Paese, dovrebbe indurci a riflettere sulla necessità d’attribuire alla stessa un nome di battesimo, che sancisca definitivamente il nuovo documento d’identità della stessa, lasciando al ricordo, alla memoria ed alla tradizione tutto ciò che queste erano separatamente.
Sia chiaro, nessuno mai dimenticherà le proprie origini, la propria timbrica in accento, le proprie tradizioni, anzi le preserverà gelosamente, ma ora questa nuova è grande città ha necessità d’essere battezzata in nome e per conto di tutti coloro che democraticamente l’hanno voluta e si son prodigati affinché la stessa venisse alla luce.
L’errore da non commettere, in tal caso, è quello di pensare che la lenta costruzione di una nuova generalità, che non sia la semplice ed effimera sommatoria di due identità ma che rappresenti il meglio della sintesi positiva di quanto le due ex realtà hanno potuto rappresentare nella loro millenaria storia, possa essere ricondotta ad un banale nome in cui si riporta quello di entrambi gli ex comuni, peraltro collegati da un tratto, qualcosa che fra l’altro somiglia molto di più ad un treno merci che all’identificazione di una fra le prime 100 città italiane.
Invero persistere in questo abominio, porterà naturalente i suoi abitanti, per certi versi ancora arroccati ai propri campanili, a non riconoscere la nuova realta, ma ad intraprendere una battaglia sociale ogni qualvolta s’intenderà effettuare delle delle migliorie alla collettività tutta, vedendo in questo quasi una sorta di sottrazione piuttosto che un valore aggiunto.
È paradossale che ad oggi, decorso ormai oltre un anno dalla legge istitutiva del nuovo comune, ancora la carta stampata, i mezzi di comunicazione digitale, personalità politiche finanche locali, s’esprimano parlando di Corigliano piuttosto che Rossano.
Abbiamo avuto un esempio di fusione ammistrativa molto simile alla nostra, la vicina Lamezia che 50 anni fa nasceva dagli estinti comuni di Sambiase Nicastro e Sant’Eufemia.
Ebbene nel coniare il nome Lamezia, i suoi ideatori si son rifatti al latinismo del fiume che irrora il suo territorio, il “Lamatos”.
Certo nell’immaginario collettivo dei suoi abitanti persiste il ricordo dei vecchi comuni, ma il loro spirito è quello di lametini, non già nicastresi o sambiasini.
Per la sua baricentricita nella piana di Sibari, la nuova città avrebbe tante oppurtunità alle quali attingere per una nuova nomenclatura.
Si pensi ad esempio al fatto che la diocesi, originariamente non era denominata come oggi, ma eravamo parte integrante della diocesi di “Thurium”; oppure che la città per la sua posizione nel punto di maggior arretramento sul golfo potrebbe suggellare la nascita della città dello Jonio, “Jonia” appunto; ed ancora il semplice richiamo alla magna grecia utilizzando le prime 3 lettere d’entrambe le denominazioni di Corigliano e di Rossano, Coros che richiama appunto quel mondo mai perduto e dal quale noi tutti siamo stati generati.
Un nome nuovo, che ricordi entrambi i passati delle due ex comunità, ma che suggelli la nascita di un nuovo soggetto istituzionale, che come tale merita d’essere trattato.
E di conseguenza un piano di rinomenclatura che azzeri tutti i civici indirizzi riprodotti su entrambi i lati della città, perché non esiste luogo al mondo che racchiuda nella stessa città omonimia d’ndirizzi.
Prima del processo di fusione avevamo un’area urbana e due città a formarla, oggi abbiamo una città e due aree urbane, roba da far venire il mal di testa ad un’aspirina.
Non ha senso leggere ancora sui social “carneficine verbali” tra gli abitanti che continuano a parlare “d’amministatori che gestiscono due centri”, se così continuerà ad essere, significherà che il principio che ha spinto le comunità verso la fusione non è stato ben capito, perché è palese che il termine “fusione” derivi da fonderia, laddove rapprendono in altiforni diverse tipologie di materiali al fine di creare leghe diverse, che poco o nulla hanno a che vedere con gli originari materiali di cui son composte.
Bene, la fusione è questo!
È l’amalgama di due ex realtà che hanno deciso di mettere insieme le loro forze, non rinunciando alle loro identità storiche, ma cercando di creare risultati elevati alla potenza, risorgendo dalle ceneri di due realtà ormai incapaci di stare al passo dei tempi: la fusione è forza, è molto di più di una semplice somma algebrica, è essenza, è spirito nuovo, è un nome.
Un nuovo nome simboleggiante una nuova ed ancor più duratura identità, che affronti a muso duro la battaglia dello stare a passo coi tempi.
Se in questo dovessimo fallire, significherà che non avremmo saputo sfruttare la più grande opportunità che la storia c’abbia mai consegnato.
Ci si chiede spesso quale sia il significato che si attribuisce ad una persona piuttosto che ad una cosa.
Ebbene molto di quel significato risiede anche nel semplice concetto nominale che alla stessa persona o alla stessa cosa si è deciso d’attibuire.
La fusione amministrativa tra le due ex principali città della Sibaritide, oggi amministrativamente unite in un’unica realtà, territorialmente fra le più grandi d’Italia e demograficamente posizionata al settantesimo posto nel Paese, dovrebbe indurci a riflettere sulla necessità d’attribuire alla stessa un nome di battesimo, che sancisca definitivamente il nuovo documento d’identità della stessa, lasciando al ricordo, alla memoria ed alla tradizione tutto ciò che queste erano separatamente.
Sia chiaro, nessuno mai dimenticherà le proprie origini, la propria timbrica in accento, le proprie tradizioni, anzi le preserverà gelosamente, ma ora questa nuova è grande città ha necessità d’essere battezzata in nome e per conto di tutti coloro che democraticamente l’hanno voluta e si son prodigati affinché la stessa venisse alla luce.
L’errore da non commettere, in tal caso, è quello di pensare che la lenta costruzione di una nuova generalità, che non sia la semplice ed effimera sommatoria di due identità ma che rappresenti il meglio della sintesi positiva di quanto le due ex realtà hanno potuto rappresentare nella loro millenaria storia, possa essere ricondotta ad un banale nome in cui si riporta quello di entrambi gli ex comuni, peraltro collegati da un tratto, qualcosa che fra l’altro somiglia molto di più ad un treno merci che all’identificazione di una fra le prime 100 città italiane.
Invero persistere in questo abominio, porterà naturalente i suoi abitanti, per certi versi ancora arroccati ai propri campanili, a non riconoscere la nuova realta, ma ad intraprendere una battaglia sociale ogni qualvolta s’intenderà effettuare delle delle migliorie alla collettività tutta, vedendo in questo quasi una sorta di sottrazione piuttosto che un valore aggiunto.
È paradossale che ad oggi, decorso ormai oltre un anno dalla legge istitutiva del nuovo comune, ancora la carta stampata, i mezzi di comunicazione digitale, personalità politiche finanche locali, s’esprimano parlando di Corigliano piuttosto che Rossano.
Abbiamo avuto un esempio di fusione ammistrativa molto simile alla nostra, la vicina Lamezia che 50 anni fa nasceva dagli estinti comuni di Sambiase Nicastro e Sant’Eufemia.
Ebbene nel coniare il nome Lamezia, i suoi ideatori si son rifatti al latinismo del fiume che irrora il suo territorio, il “Lamatos”.
Certo nell’immaginario collettivo dei suoi abitanti persiste il ricordo dei vecchi comuni, ma il loro spirito è quello di lametini, non già nicastresi o sambiasini.
Per la sua baricentricita nella piana di Sibari, la nuova città avrebbe tante oppurtunità alle quali attingere per una nuova nomenclatura.
Si pensi ad esempio al fatto che la diocesi, originariamente non era denominata come oggi, ma eravamo parte integrante della diocesi di “Thurium”; oppure che la città per la sua posizione nel punto di maggior arretramento sul golfo potrebbe suggellare la nascita della città dello Jonio, “Jonia” appunto; ed ancora il semplice richiamo alla magna grecia utilizzando le prime 3 lettere d’entrambe le denominazioni di Corigliano e di Rossano, Coros che richiama appunto quel mondo mai perduto e dal quale noi tutti siamo stati generati.
Un nome nuovo, che ricordi entrambi i passati delle due ex comunità, ma che suggelli la nascita di un nuovo soggetto istituzionale, che come tale merita d’essere trattato.
E di conseguenza un piano di rinomenclatura che azzeri tutti i civici indirizzi riprodotti su entrambi i lati della città, perché non esiste luogo al mondo che racchiuda nella stessa città omonimia d’ndirizzi.
Prima del processo di fusione avevamo un’area urbana e due città a formarla, oggi abbiamo una città e due aree urbane, roba da far venire il mal di testa ad un’aspirina.
Non ha senso leggere ancora sui social “carneficine verbali” tra gli abitanti che continuano a parlare “d’amministatori che gestiscono due centri”, se così continuerà ad essere, significherà che il principio che ha spinto le comunità verso la fusione non è stato ben capito, perché è palese che il termine “fusione” derivi da fonderia, laddove rapprendono in altiforni diverse tipologie di materiali al fine di creare leghe diverse, che poco o nulla hanno a che vedere con gli originari materiali di cui son composte.
Bene, la fusione è questo!
È l’amalgama di due ex realtà che hanno deciso di mettere insieme le loro forze, non rinunciando alle loro identità storiche, ma cercando di creare risultati elevati alla potenza, risorgendo dalle ceneri di due realtà ormai incapaci di stare al passo dei tempi: la fusione è forza, è molto di più di una semplice somma algebrica, è essenza, è spirito nuovo, è un nome.
Un nuovo nome simboleggiante una nuova ed ancor più duratura identità, che affronti a muso duro la battaglia dello stare a passo coi tempi.
Se in questo dovessimo fallire, significherà che non avremmo saputo sfruttare la più grande opportunità che la storia c’abbia mai consegnato.