Questi prigionieri arrivavano a Rossano per essere impiegati in lavori pubblici e privati. La possibilità di poter utilizzare la forza lavoro costituita dai soldati prigionieri non graduati era infatti prevista dalla Convenzione dell’Aia del 1907, firmata dai futuri paesi belligeranti. In un periodo in cui la maggior parte degli uomini erano partiti per la guerra, il poter disporre di questa manodopera rappresentava, in quegli anni, una importante opportunità.
Un altro articolo dello stesso giornale del 26 novembre 1918 dal titolo significativo “Pensare alle strade” concludeva affermando che «I prigionieri vengano dunque immediatamente posti al lavoro. I progetti dovrebbero esservi. Per le direzioni bastano pochi ingegneri, ma giovani, alacri, ingegnosi e non burocratici». E in un successivo articolo dello stesso giornale dell’8 dicembre 1918, sempre sulla necessità di realizzare strade si sottolineava ancora che «i prigionieri vi sono» che voleva dire che problemi di manodopera non ne esistevano.
Così i prigionieri che si trovavano a Rossano vennero impiegati per costruire la strada per il Patire la cui foresta nel 1915 era stata riscattata da parte del Demanio dalla famiglia Compagna. Ce lo ricorda il grande archeologo Paolo Orsi che il 24 maggio 1919 si recò a visitare la storica abbazia. Ecco le sue parole: «Ardevo da anni dal desiderio di visitare il santuario celebre in tutta l’alta Calabria e più nella storia del Basilianismo. E vi salii la prima volta in una chiara giornata primaverile del 1919 (24 maggio), imbattendomi al di là del fiume Cino in folte schiere di prigionieri austriaci, che attraverso il bosco dell’erto colle tracciavano una rotabile, per cui tra breve Corigliano sarà unito alla storica abbazia. … Si sale al Patirion anche da Rossano per un sentiero quanto mai faticoso e malagevole ed impiegando più di tre ore. Io sento di dovere qui esprimere speciale riconoscenza al signor Luigi Storti, Ispettore in Corigliano del R. Corpo delle Foreste, e capo della vasta Azienda forestale, ora dello Stato, del Patirion. Senza la sua grande cortesia io non avrei potuto soggiornare per una settimana colla mia piccola spedizione, al Patirion, dove installata nei ruderi del vecchio convento risiede una brigata di guardie, dedite’ a vigilare l’ampia foresta, che lentamente viene riprendendo l’antica floridezza». Ed è a Paolo Orsi che dobbiamo l’unica foto che immortala i prigionieri davanti alla chiesa del Patire, insieme ad altre foto dell’epoca sullo stato dell’Abbazia.
La decisione di avvalersi in Italia delle opportunità previste dalla Convenzione dell’Aia fu sancita da una circolare del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio del 25 maggio 1916 inviata ai Prefetti del Regno con la quale venne disposto che i prigionieri di truppa dell’impero austriaco iniziassero a essere impiegati, divisi per nazionalità, in lavori agricoli e industriali, esterni al campo di prigionia. I prigionieri dovevano svolgere le loro mansioni in gruppi di lavoratori non inferiori a 100, scortati da un ufficiale e 24 uomini. Nel novembre del 1916 una Commissione per i prigionieri di guerra tentò altresì di disciplinare in modo uniforme e per tutto il territorio nazionale le regole di impiego di questa manodopera. L’orario di lavoro non doveva superare le 10 ore giornaliere e il tempo di trasferimento dagli alloggiamenti al posto di lavoro, e viceversa, era da considerare comunque come orario di lavoro. Era vietato far lavorare i prigionieri durante i giorni festivi e agli stessi doveva essere riconosciuta una paga corrispondente a quella percepita dagli operai civili che svolgevano le stesse mansioni nella medesima località. Nel mese di marzo del 1917 fu resa altresì obbligatoria per i prigionieri anche l’assicurazione contro gli infortuni che si sarebbe dovuta stipulare presso l’apposita Cassa Nazionale.
Infine, parlando dei prigionieri in Calabria, non si può non ricordare Michele Kopeling, classe 1896, di Varsavia. Faceva parte di un distaccamento di prigionieri polacchi che lavoravano a San Marco Argentano alla produzione di traversine per le ferrovie. Innamoratosi, ricambiato, di una ragazza del luogo, Luigina Giardullo, nel 1919, alla fine della guerra rinunciò al rimpatrio e si sposò con la sua amata. Ebbero sei figli, quattro maschi e due femmine, e dopo una vita trascorsa a lavorare nei campi, Michele, novantenne, morì a Roggiano Gravina nel 1987.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
www.anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate anche nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi di Grazia Greco.
Una risposta
Sono mortificata ! Sono rossanese,ma non so più di tanto della storia che ha avvolto la mia terra. Spero in un prossimo futuro di poter rimediare visitando personalmente quello che per ora è solo una piacevole lettura. Grazie