Un’espansione dell’istruzione terziaria più attenta al merito avrebbe consentito, nel Regno Unito, di ammettervi un numero maggiore di studenti con capacità cognitive almeno pari a quelle di chi li aveva preceduti, senza mettere a repentaglio l’acquisizione da parte loro delle competenze necessarie una volta entrati nel mondo del lavoro.
Al grido di dolore della studentessa padovana Emma Ruzzon, che segnala la pressione alla quale sono sottoposti gli studenti universitari, si contrappone il grido di dolore di chi dovrà servirsi di quegli studenti, una volta che saranno diventati professori, medici, ingegneri, architetti, avvocati e così via, se dovessimo rendere più facile il conseguimento di una laurea. Aumentare il numero dei laureati consentendo un facile superamento degli esami, a cominciare da quello di ammissione, non è privodi conseguenze. Lo dicono i dati del Regno Unito che abbiamo analizzato in un nostro studio recente. È ragionevole pensare che, se dati simili fossero accessibili per l’Italia, direbbero la stessa cosa.
Tra il 1960 e il 2020, la frazione di laureati tra le persone in età compresa tra i 17 e i 30 anni è aumentata dal 5% al 53% oltre la Manica. Nello stesso periodo, le capacità cognitive di questi laureati sono diminuite: quelli delle ultime coorti hanno un’intelligenza inferiore rispetto a quelli delle prime coorti, in una misura pari al 13% della normale variazione di intelligenza nella popolazione (scarto quadratico medio). Ciò significa che l’espansione del numero di laureati è stata realizzata conferendo il titolo di studio universitario a persone progressivamente meno intelligenti. Consideriamo per esempio un medico laureato negli anni ’60 e uno degli anni 2000, entrambi osservati agli inizi delle loro rispettive carriere. Questi dati suggeriscono che il laureato più recente sia probabilmente meno bravo a curare i suoi pazienti. Per essere ugualmente bravo, i suoi docenti e lui stesso avrebbero dovuto fare molta più fatica per completare la sua preparazione. Questo perché non è vero che chiunque, indipendentemente dalle sue capacità cognitive, possa diventare un bravo medico grazie a un colpo di bacchetta magica.
L’espansione del numero di laureati nel Regno Unito, ci offre un’altra lezione interessante. L’obiettivo, pienamente condivisibile, era di raggiungere “le riserve di abilità inutilizzata nelle fasce più povere della popolazione”. Così scriveva Lionel Robbins nel rapporto che il governo gli aveva chiesto e che gettò le basi di quella espansione. Purtroppo, non è andata così. La scarsa attenzione per una selezione basata sul merito ha fatto sì che i nuovi studenti universitari venissero dallefamiglie più abbienti, indipendentemente dalle loro capacitàcognitive. Il contrario, quindi, di quello che Robbins auspicava.
Il nostro studio mostra che un’espansione dell’istruzione terziaria più attenta al merito avrebbe consentito, nel Regno Unito, di ammettere nelle università un numero maggiore di studenti con capacità cognitive almeno pari a quelle di chi li aveva preceduti. Quindi, senza mettere a repentaglio la qualità dei servizi da loro offerti, una volta entrati nel mondo del lavoro. Doveroso quindi prestare attenzione all’appello di Emma Ruzzon e sostenere gli studenti universitari nel loro percorso, ma senza dimenticare quello che l’esperienza del Regno Unito ci insegna.