Di questa opera i giornali avevano iniziato a parlare ancor prima che fosse terminata e quindi sulla stessa si era creata una grande attesa. Un anonimo cronista de “Il Piccolo” il 18 maggio 1872 aveva informato l’opinione pubblica che il famoso pittore stava lavorando a «una Madonna che esprime semplicità e verità» e il 20 giugno dello stesso anno Federigo Verdinois, grande uomo di cultura e giornalista, diede una lunga e accurata descrizione dell’opera su “Il Giornale di Napoli”, fatto che fece supporre che fosse quasi ultimata. Poi il 10 agosto, sempre su “Il Giornale di Napoli”, apparve la notizia che la Madonna, ormai diventata celebre, era stata scelta per essere inviata all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano.
Eppure il quadro non aveva avuto una gestazione facile. Di sicuro era stato ordinato al maestro napoletano Domenico Morelli dal barone Luigi Compagna già prima del 1867. Infatti Ferdinando Muggirei, precettore della famiglia Compagna, in una lettera del 4 dicembre 1867 informò il barone che, passando da Napoli, aveva visto il Morelli lavorare al trittico. Trascorreva però il tempo e la Madonna a Corigliano non arrivava e così nel febbraio 1872 il barone Compagna protestò duramente con Morelli per il ritardo nella consegna. Il maestro, a sua difesa, rispose che il motivo della lungaggine dei tempi era dovuto alla circostanza che sul più bello del lavoro aveva fatto festa la modella con la quale lavorava e concluse la lettera promettendo la consegna per la Pasqua del 1872.
Fin dall’inizio, comunque, l’opera venne pensata come un trittico con al centro la Madonna con il Bambino in trono e ai lati i santi Antonio Abate e Agostino. La scelta formale del trittico, l’uso del supporto in legno, la parchettatura sul retro, la cornice neogotica e alcuni particolari iconografici, come il trono con ornati cosmateschi fanno ritenere che l’opera fosse stata ideata pensando a una pala d’altare. La realizzazione della cornice era stata affidata all’intagliatore fiorentino Emilio Franceschi che si era trasferito a Napoli dove poi iniziò a insegnare, come Morelli, all’istituto di Belle Arti,
All’Esposizione di Milano arrivò però solo la parte centrale dell’opera anche se il Morelli in una lettera all’amico artista Eleuterio Pagliano lo aveva informato che aveva «quasi finito i due Santi che vorrei accanto alla Madonna, e questi li porterò in Calabria fra i briganti, e di là vorrei venire a Milano».
Sempre per il dell’Ongaro, l’opera veniva salutata come un «dipinto nuovo, nuovissimo nel suo genere. C’è la luce e il calore della grande pittura antica; ma non è un quadro di sola intonazione ottica, bensì, e in grado maggiore, di tutto il sentimento moderno».
Questa novità comunque non venne accolta benevolmente dai critici tradizionalisti. Infatti tra il coro di applausi si elevò anche qualche voce dissonante. Pietro Coccoluto Ferrigni commentò: «Salutare la madre di Cristo come regina dè cieli e incominciare dal togliere l’aureola che pel solito le splende sul capo mi pare una contraddizione flagrante… Non è la regina del cielo cattolico quella donna ebrea dalle forme un po’ volgari e comuni, che appoggia i piedi sopra un solido pavimento, … Siamo, in ogni caso, molto lontani dal misticismo religioso della Salve Regina!».
Sull’opera resta comunque emblematico il giudizio di Giustino Fortunato: «È un dipinto nuovo, nuovissimo nel suo genere. C’è la luce e il calore della grande pittura antica; ma non è un quadro di sola intonazione ottica, bensì, e in grado maggiore, di tutto il sentimento moderno. Non è più la Madonna del seicento, tipo comune, e, fino a un certo punto, anche volgare, che del divino non abbia se non l’areola convenzionale. È invece la Maria del Vangelo, come venne dipinta e concepita ne’ primi secoli del cristianesimo; umile ed amorosa, ma non già paganizzata dall’esagerazione e dalla goffaggine del culto popolare. Vestita modestamente, di ricco non ha che il seggio – simbolo dell’affetto e della venerazione di tanti uomini, che lei han sempre invocata: è l’altare, dirò così, della pietà e della credenza religiosa de’ fedeli … Il disegno, specialmente, compendia tutta le venustà, tutt’i particolari del volto: il pudore e la tenerezza rivelano la passione immensa, e pur tranquilla, che angustia e felicita a un tempo il suo cuore di madre …».
L’opera venne definitivamente completata e terminata, anche nei pannelli laterali, nel novembre del 1872. Il pagamento del lavoro, che era costato 23.000 lire, fu saldato a gennaio 1873 e subito dopo il quadro arrivò a Corigliano Calabro, quando però il barone Luigi Compagna era deceduto. Con una lettera del 10 febbraio 1873 Morelli si scusò con il giovane barone Francesco Compagna per non aver potuto accompagnare il trittico in quanto ammalato e al contempo promise che sarebbe partito per la Calabria la settimana successiva per sovrintendere all’apertura delle casse.
(sul sito www.CastelloCorigliano.it alla Sezione “Cappella” è possibile trovare i testi che trattano dell’opera del Morelli)
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
www.anticabibliotecacoriglianorossano.it Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate anche nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi di Grazia Greco