Il 10 febbraio del 1935 a Longobucco, in località Pigolara, vennero rinvenuti tre cadaveri. Secondo i carabinieri si trattava di Maria Malì e di suo marito Marco Furlan di Gorizia e dell’assistente di quest’ultimo Carlo Volner di Merano.
I tre nel 1934 erano stati confinati dal regime fascista a Longobucco che, per la posizione geografica tra le montagne della Sila e lontana dalle principali arterie di comunicazioni, si prestava molto bene come sede di confino.
Sull’accaduto la polizia svolse una velocissima inchiesta e stabilì che la causa degli omicidi fosse da ricercare nella pista passionale. Maria Malì aveva una relazione con l’assistente del marito – Carlo Volner – e perciò gli amanti erano stati uccisi dal Furlan, marito geloso, che successivamente si era suicidato.
Negli anni ’70 Francesco Spezzano (Acri 1903 – Roma 1976), avvocato, uomo politico e storico, nella preparazione del suo libro “Fascismo e antifascismo in Calabria”, pubblicato nel 1975, ottenne dal comune di Longobucco i certificati di morte di Furlan, Malì e Volner e, sulla base della documentazione ricevuta relativa alle generalità dei deceduti, richiese informazioni al sindaco di Gorizia.
Con sua grande sorpresa gli venne comunicato che agli atti del comune di Gorizia non risultavano i nominativi di Furlan e Malì, e nemmeno in quelli parrocchiali della città. E allora, di chi erano quei tre corpi trucidati nei boschi della Sila e da nessuno rivendicati?
Subito dopo gli omicidi i fascicoli vennero fatti sparire e sul fatto calò un sipario fatto da silenzi impenetrabili. Le voci però nel paese iniziarono a circolare.
Si sussurrava che le morti fossero collegate al mondo ustascia, il movimento nazionalista croato di estrema destra, alleato dei fascisti e dei nazisti, che si opponeva, anche con atti terroristici, al Regno di Jugoslavia dominato dall’etnia serba.
Gli ustascia, che svolgevano dall’estero una forte propaganda rivolta alle varie comunità di croati sparsi per l’Europa, avevano ottenuto da Mussolini finanziamenti, asilo e strutture, con campi di addestramento militare. Il duce voleva sfruttare il nazionalismo croato per disgregare e destabilizzare il potente Regno di Jugoslavia (confinante con l’Italia) in modo da farlo entrare nell’orbita romana. In tale contesto teneva con la Jugoslavia una condotta double face. Ufficialmente manteneva buoni rapporti con il governo di Belgrado, ma contemporaneamente sovvenzionava i separatisti croati per indebolirlo. Ante Pavelić (Bradina, 14 luglio 1889 – Madrid, 28 dicembre 1959), capo degli ustascia, circolava liberamente in Italia con false identità protetto dalla polizia.
Infatti Mussolini aveva costituito a Roma, presso il Ministero degli Affari Esteri, l’Ufficio Croazia con il compito di coordinare al meglio i rapporti con i dirigenti ustascia. L’ispettore di Pubblica Sicurezza di Pisa Ercole Conti era stato incaricato di gestire i rapporti con questo mondo, con la responsabilità di seguire minuziosamente la questione croata, incontrando i militanti e mettendo a disposizione quanto necessario per qualsiasi loro necessità ed esigenza.
Il gruppo degli ustascia si dedicò, sotto l’egida del governo italiano, ad attività intimidatorie e il 9 ottobre 1934 riuscì ad assassinare a Marsiglia il re Alessandro I di Jugoslavia. Nell’attentato perse la vita anche il ministro degli esteri francese Louis Barthou.
Dopo questi omicidi con risonanza mondiale il governo fascista cercò di nascondere l’imbarazzante presenza degli ustascia in Italia. Tanti furono portati a Lipari. Una decina a Longobucco tra questi vi era Vjekoslav Servatzi, responsabile della base croata di Fiume, fornitore di armi e fedelissimo di Pavelić. Lo stesso che nel 1941 svolse un ruolo di primo piano nella creazione del Battaglione Personale Poglavnik, guardia del corpo proprio di Ante Pavelić al suo ritorno in Croazia. Sempre nel 1934 arrivò a Longobucco anche Marco Furlan che secondo gli studiosi Teodoro Sala, Tobia Cornacchioli e altri, nonché l’Istituto Croato di Storia altro non era che Gustav Perčec (1885-1935).
Perčec/Furlan era stato direttore del famigerato campo di Janka Pustza, in Ungheria, dove si addestravano i terroristi ustascia e che probabilmente aveva avuto un ruolo importante nell’organizzazione dell’attentato di Marsiglia.
Nel 1934 però Perčec/Furlan non era più in buoni rapporti con gli ustascia in quanto Igor Domitrović e tanti altri avevano contestato la sua gestione del campo di Janka Pustza. Inoltre, la sua amante, Jelka Pogorelec, che aveva abitato con lui nel campo di addestramento, era accusata di lavorare per i servizi segreti jugoslavi. Jelka che aveva convissuto con Perčec/Furlan prima a Vienna, poi nel campo di Janko Pustza e poi a Budapest, partecipava a ogni suo incontro e quindi era al corrente di tutti i segreti di Perčec/Furlan e dei rapporti di quest’ultimo con la dirigenza ustascia. Nel 1933 Jelka Pogorelec pubblicò in croato un libro dal titolo “Tajne emigrantskih zlocinaca”. Il libro era una confessione sugli ustascia, sulla vita dell’organizzazione, sull’addestramento militare che veniva dato ai militanti e sulle attività terroristiche. Queste memorie, tradotte immediatamente in francese col titolo “Les secrets des organisations terroristes au service du révisionnisme” furono inviate alla maggior parte dei paesi membri della Società delle Nazioni e rappresentarono un brutto colpo per il movimento ustascia e nello stesso tempo per le relazioni di Perčec/Furlan con i croati.
È quindi immaginabile la reazione di Ante Pavelić che a suo tempo aveva inviato Ivan Perčević da Perčec/Furlan per avvertirlo di interrompere la storia con la donna, cosa che quest’ultimo non fece.
Di conseguenza i rapporti tra Perčec/Furlan e Pavelić erano pessimi.
La sera dell’8 febbraio 1935 arrivò a Longobucco un misterioso personaggio che passò la notte nella caserma dei carabinieri. Il giorno dopo si incamminò con Furlan/Perčec, sua moglie Maria Malì/(?) e Carlo Volner/? per una escursione verso la Pigolara da dove i tre non fecero più ritorno con le loro gambe.
Dopo questa veloce ricostruzione sorge spontanea una domanda: si è sicuri che dietro il falso nome di Maria Malì si nascondesse la moglie di Furlan/Perčec e non invece Jelka Pogorelec, fidanzata-amante-segretaria di Perčec/Furlan che lo accompagnava sempre? Inoltre di Jelka Pogorelec, che con la pubblicazione di quel libro era diventata un problema per l’universo ustascia, si hanno notizie mentre nulla si sa dell’eventuale moglie di Perčec/Furlan, addirittura nemmeno se quest’ultimo fosse sposato.
Di sicuro c’è che questo triplice omicidio di Longobucco per il mondo ustascia e per il complesso dei rapporti fascismo-ustascia fu la soluzione di molti problemi, con l’eliminazione di tre personaggi borderline, nonché di tre pericolosi testimoni.
A Longobucco si diffuse la voce che gli omicidi fossero opera del SIM, il Servizio Informazioni Militare, la prima intelligence militare italiana ad occuparsi dello spionaggio estero, compreso quello relativo alla Jugoslavia.
Gli incartamenti su queste morti sparirono e una coltre di silenzio fu fatta scendere sulla vicenda.
Solo delle mani pietose di longobucchesi misero tre croci sul luogo di rinvenimento dei cadaveri e altri incisero su alcune ceppaie di faggio i nomi (falsi) dei morti.
Così nel 1935 Longobucco si trovò al centro di un intrigo internazionale con false identità, trame misteriose, omicidi, servizi segreti e tanti altri misteri che con questo articolo, basato su fatti e precedenti studi, si è provato in parte a ricostruire, sperando che prima o poi venga fatta completa luce su una vicenda che nel 1935 ebbe come teatro la cittadina silana.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.