Il traffico di reperti antichi nel Mezzogiorno, racconto di Martino A. Rizzo

A Roma, nell’800, l’antiquario Francesco Martinetti (Roma 1833 – Roma 1895) era
considerato “il primo degli antiquari romani” per quanto riguardava la “roba da
scavo”. Coltivava relazioni amichevoli e d’affari con personaggi dell’ambiente
culturale internazionale, all’epoca molto presenti nella capitale. Con la sua attività,
unita a un’avarizia proverbiale e a un tenore di vita modesto, accumulò ricchezze
enormi. Nell’ambiente si diceva che in casa nascondesse di tutto. Nel 1904, dieci anni
dopo la sua morte, un suo nipote, rotto un braccio a una brutta copia del Discobolo,
vide uscirne una pioggia di monete d’oro di epoca romana dal valore immenso. Il 22
febbraio 1933, durante la demolizione dell’edificio dove aveva abitato, in via
Alessandrini nel Rione Monti, venne casualmente alla luce il cosiddetto “tesoro di via
Alessandrina”; costituito da 2.529 monete d’oro di cui 440 antiche d’epoca greca,
romana, bizantina, longobarda e altre fino arrivare al XVIII secolo e 2.089 monete
d’oro da investimento dell’800 per un totale di 20,176 kg d’oro.

Chissà se in questo tesoro c’erano anche monete provenienti dalla Piana di Sibari, da
Thurio, da Castiglione di Paludi, da Rossano, da Corigliano? Non lo sapremo mai.
Ebbe invece fortuna il Soprintendente Paolo Orsi che il 19 dicembre 1927 –
dall’antiquario romano Augusto Jandolo, altro grande protagonista del mercato
antiquario della capitale – si imbatté in una lamina bratteata del VI-VII secolo, una
lamina circolare d’oro, lavorata su un lato con l’immagine di Cristo adorato da angeli,
che era stata ritrovata a Rossano. L’acquistò pagandola 750 lire. Jandolo l’aveva
messa in vendita per 4.500 lire ed era in trattative con un antiquario austriaco che
gliene aveva offerte 2.700. Per fortuna in Jandolo prevalse l’amor patrio e così la
cedette a Orsi, a un prezzo decisamente basso e il Soprintendente la donò al Museo
Archeologico di Siracusa dove tuttora è conservata. Ma questa lamina bratteata
com’era finita da Rossano a Roma, nella bottega dell’antiquario Jandolo?
L’antiquario confessò a Orsi che l’aveva acquistata da un orefice di Rossano. È
presumibile che qualche contadino, vangando un campo, l’abbia rinvenuta e, per
realizzare un facile guadagno, sia andato a proporne la vendita a un orefice rossanese.
Questi, a sua volta, la rivendette a Jandolo. In quale campo era stata trovata? Faceva
parte di un insieme di altri reperti? Chi era l’orefice che l’acquistò? Quanti orefici
c’erano a Rossano in quell’epoca? Quale di questi orefici aveva contatti romani che
gli consentivano di cedere il reperto sulla piazza antiquaria della capitale? Tutte
domande ancora oggi senza risposte.

Un’altra lamina bratteata raffigurante S. Teodoro di Amasea fu recuperata a Rossano
dal soprintendente Edoardo Galli (Maierà 1880 – Roma 1956) che l’aveva avuta da
un orefice di Rogliano (CS), il quale sosteneva di averla a sua volta acquistata da un
contadino di Petilia Policastro. Giri inspiegabili, comunque per fortuna oggi l’oggetto
è custodito nel Museo Nazionale di Reggio Calabria.
Altro famoso antiquario romano era Alessandro Castellani, che comprava e vendeva
antichità realizzando profitti strabilianti. Fu lui ad acquistare tra il 1857 e il 1860, e
poi rivendere, l’Ascia Votiva di San Sosti (CS) che oggi si trova al British Museum
di Londra.

Era un’epoca in cui erano facili i ritrovamenti di antichità, specialmente nelle
proprietà dei grandi latifondisti calabresi che così si facevano il loro museo privato in
casa. Famose erano le collezioni della famiglia Scaglione di Locri, quella di Vito
Capialbi a Vibo Valentia, quella dei Barracco a Crotone. Mentre per le zone della
Sibaritide Francesco Grillo, storico coriglianese, nel 1949 si poneva domande sulla
destinazione dei “molti e notevoli oggetti classici, alcuni dei quali rinvenuti a caso ed
in vari tempi nei vasti possedimenti del Barone Compagna presso le necropoli di
Sibari e di Thurio […]”.
I pettegolezzi metropolitani rossanesi raccontano altresì che, qualche decennio
addietro, due funzionari pubblici, venuti a risiedere a Rossano per lavoro, vi avevano
impiantato una seconda e florida attività di mercanteggiamento di antichità.
Comunque pesci piccoli in un traffico che ha visto e vede coinvolti veri e propri
squali.
Uno di questi era Tonino detto il Greco, al secolo Antonio Savoca, morto nel 1998. Il
14 ottobre 1994, nella sua mega villa a Monaco di Baviera vennero ritrovati migliaia
di pezzi antiquari: bronzi, statue di marmo, ceramiche, affreschi, argenti, gioielli,
mosaici. Anche alcuni pezzi rubati nel Museo Archeologico di Melfi e altri
provenienti da Scrimbia, Vibo Valentia. Inoltre in cantina aveva una piscina di 20
metri che serviva esclusivamente per “lavare” dalle incrostazioni i reperti di cui era
ricolma, in buona parte italiani.

Nel 1995 vennero svolte indagini serrate sui “predatori dell’arte perduta”,
relativamente alla “Grande razzia” che ha sottratto all’Italia almeno un milione di
antichità scavate in modo illegale dal 1970 in poi e spesso contrabbandate all’estero.
In questo contesto gli investigatori italiani scoprirono a Ginevra, in un deposito di
240 mq nel porto franco, gestito dall’italiano Giacomo Medici, migliaia di reperti
assicurati per due milioni di dollari, insieme a migliaia di documenti e fotografie.
Molte foto erano state fatte con la polaroid e riprendevano oggetti appena estratti dal
terreno in modo da garantire l’autenticità del “pezzo”.

Raffaele Monticelli di Lizzano (TA), insegnante elementare in pensione, era ritenuto
il punto di riferimento principale per la commercializzazione e la ricettazione dei
preziosi reperti nel Mezzogiorno. Anni addietro gli confiscarono un patrimonio del
valore di 22 milioni di euro, compresi appartamenti nel centro di Firenze e Roma,
acquistati forse non proprio grazie ai frutti dell’insegnamento. Secondo i carabinieri
che lo indagarono, questo “capo-area” aveva referenti anche in Calabria dove, a Vibo
Valentia venne addirittura realizzato un tunnel nelle vicinanze dell’area un tempo
dedicata alla ninfa Scrimbia, zona sottoposta a vincolo archeologico. Il tunnel, che
partiva da un garage in via De Gasperi, arrivava direttamente nell’area archeologica,
era lungo circa 40 metri, debitamente puntellato, dotato di prese di aereazione e
munito di carrelli scorrevoli che consentivano di poter trasportare agevolmente i
reperti archeologici che venivano sottratti.

In questa panoramica si sarebbe potuto parlare anche di altri grandi protagonisti del
mercato illegale e degli antiquari napoletani attivi fin dal ’700. Comunque è servita a
introdurre una riflessione: quando si passeggia tra gli scavi di Sibari, di Castiglione di
Paludi, a Salto di Cariati, a Palazzo della Piana a Cerchiara, a Mandria del Forno,
Plainetta, Fabrizio Grande, Favella della Corte, Piscopello Le Muraglie, Grotta del
Malconsiglio di Corigliano, a Bucita, Ciminata, Solfara, La Foresta, Monachelle,
Casello Mascaro, Santo Stefano di Rossano (tutti siti nei quali sono stati ritrovati
antichi insediamenti), alla luce degli argomenti prima sviluppati, non può che venire
spontaneo pensare a quanti possibili tesori di queste contrade hanno preso il volo
verso orizzonti lontani.

Martino A. Rizzo

I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C

Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a

Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica

sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato

il romanzo Le tentazioni della

politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri

del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito

anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione

dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,

Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,

Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.

Da fotografo dilettante cerca di cogliere

con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio

e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie

su Rossano Se chiudo gli occhi.

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