Pertanto a quell’epoca le uve e il mosto non si compravano a Cirò, come avviene oggi, ma si producevano in loco. Tutti i signori e i grandi proprietari avevano le loro vigne per il consumo personale e per la vendita. Decine e decine erano le osterie rossanesi che avevano bisogno della “materia prima” che, considerato il sistema dei trasporti dell’epoca, non poteva che essere prodotta in zona.
I piccoli contadini, a loro volta, coltivavano i filari necessari a soddisfare le esigenze familiari. Nella famosa inchiesta parlamentare sull’agricoltura nel Regno d’Italia, denominata “Inchiesta Jacini”, condotta tra il 1877 e il 1886, si racconta che «…Anche il vino del signor Vincenzo Carbone di Rossano riportò la medaglia di bronzo alla fiera marittima di Napoli nel 1872. Abbenché alcuni volenterosi proprietari, come ad esempio i precitati, spendano cure pel perfezionamento dei loro vini, pure non ne risentono alcun vantaggio, giacché per condizioni locali sono costretti a venderli allo stesso prezzo di altri di gran lunga inferiori per qualità».
Nei “Diari di Ignazio Pisani” ogni anno, nel mese di ottobre, c’è un accenno alla produzione di uve e alla vendemmia nelle proprietà di famiglia alla Piana Vernile e a Ceradonna e nel 1911 si fa anche riferimento al prezzo del mosto, £. 45, presumibilmente a quintale, a dimostrazione che una parte della produzione era destinato alla vendita.
Ovviamente intorno alla produzione del mosto girava tutto un mondo fatto di proprietari, contadini, “guttari”, mulattieri, osti e riti che partivano dalla conservazione del mosto fino a quando si “trivillava”, all’incirca per San Martino, l’11 novembre.
La vendemmia si concludeva con il pestaggio dell’uva perché i grappoli venivano depositati in una grande vasca posta in alto, il palmento, dove un contadino, dopo essersi lavati i piedi, iniziava a pestarla scalzo e così il mosto scendeva in una seconda vasca posta in basso da dove veniva trasferito nelle botti oppure, quello destinato alla vendita, negli otri che venivano caricati sui muli che distribuivano il prezioso liquido alle varie osterie poste nei vicoli di Rossano.
Oggi le vigne di Rossano si contano sulle dita delle mani e il “vino paesano” è una merce rarissima. È diventato molto più comodo, ed evidentemente più economico, acquistare il mosto a Cirò. Così, però, è improprio parlare di “vinə paisanə” tout court, mentre è più appropriato dire “vino di Cirò”.
Martino A. Rizzo
I racconti di Martino A. Rizzo. Ogni mercoledì su I&C
Martino Antonio Rizzo, rossanese, vive da una vita a
Firenze. Per passione si occupa di ricerca storica
sul Risorgimento in Calabria. Nel 2012 ha pubblicato
il romanzo Le tentazioni della
politica e nel 2016 il saggio Il Brigante Palma e i misteri
del sequestro de Rosis. Nel 2017 ha fondato il sito
anticabibliotecacoriglianorossano.it. Nel 2019 ha curato la pubblicazione
dei volumetti Passo dopo passo nella Cattedrale di Rossano,
Passo dopo passo nella Chiesa di San Nilo a Rossano,
Le miniature del Codice Purpureo di Rossano.
Da fotografo dilettante cerca di cogliere
con gli scatti le mille sfaccettature del paese natio
e le sue foto sono state pubblicate nel volume di poesie
su Rossano Se chiudo gli occhi.